Il mio NO all'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti

31 Maggio 2013
Redazione YOUng
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Come promesso è arrivato al Consiglio dei Ministri il testo tanto atteso sul finanziamento pubblico ai partiti. Si legge nell’articolo 1 “ che il finanziamento pubblico è abolito” ma si prevede che il contribuente possa decidere di indirizzare il proprio 2×1000 della propria imposta sul reddito ad un partito o un movimento politico regolarmente iscritto in un elenco specifico. Una legge che sulla scia delle polemiche, e delle strumentalizzazioni di alcune forze politiche, eliminerebbe il contributo statale per gli ormappa_partitiganismi che secondo la nostra Costituzione sono il cuore della democrazia, i partiti. In Europa solo Svizzera e Malta presentano all’interno del loro ordinamento simili regole, tutte le altre liberaldemocrazie nostre vicine supportano la politica attraverso fondi pubblici, in alcuni casi, come in Germania, con cifre molto più onerose delle nostre.
Quando i regimi politici dell’Ottocento hanno cominciato a interrogarsi su come evolversi da una situazione elitaria dove il potere, e il diritto di voto attivo e passivo, si concentrava nelle mani di pochi è risultato chiaro che l’accesso al mondo della politica doveva essere assicurato anche a chi non disponeva dei mezzi necessari, specialmente economici, per poterlo fare. È su queste motivazioni che fu introdotto lo “stipendio” dei parlamentari che permise l’ingresso delle masse nella scena politica e decisionale e la formazione delle democrazie liberali e parlamentari basate su quelli che sono stati considerati per anni i grandi partiti di massa che hanno segnato la rottura con i partiti dei notabili basati sull’intreccio tra potere politico e economico. I partiti operai, socialisti, i sindacati ebbero un’importanza fondamentale per lo sviluppo dei primi contributi pubblici alla politica, sotto forma di stipendi e, più avanti nel tempo, nel secondo dopoguerra, di finanziamenti verso i partiti al fine di svolgere in piena autonomia il loro lavoro fondamentale per la sopravvivenza della democrazia.
È proprio il tema dell’autonomia il concetto fondamentale da tenere in mente quando si parla di finanziamento della politica. Svolgere attività politica ha dei costi che devono essere affrontati e sostenuti, nel caso in cui lo Stato taglia i fondi per le formazioni politiche esse saranno costrette a trovare soluzioni alternative. Autonomia significa non ricadere in quel gioco di intrecci tra politica ed economia tipico dei regimi oligarchici dove solo chi detiene i mezzi e i fondi può fare politica. Significa delineare il quadro perfetto per lo sviluppo del sistema di lobby: una denominazione tutta contemporanea che altro non delinea se non un situazione di coming back al sistema dei notabili. Chi avrà più soldi, chi troverà più fondi, appoggi, chi farà compravendita politica più efficiente disporrà dei mezzi per fare politica, gli altri brancoleranno cercando di rincorrere gli avversari. È veramente questa la democrazia che vogliamo costruire? Siamo certi che vogliamo un sistema dove alcuni avranno i mezzi per vincere e gli altri tenteranno di sopravvivere a stento? Personalmente no. Quando dopo lo scandalo della compravendita di voti tra i maggiori partiti politici degli anni ’70 e l’Unione dei Petrolieri Italiani il Parlamento decise di votare la prima legge sul finanziamento pubblico si cercò di dare una risposta chiara e netta al problema dell’autonomia tra politica ed economia. La nostra democrazia è già attaccata su tanti fronti, conflitto d’interessi, rappresentanti politici pluricondannati o implicati in situazioni giuridiche ancora da definire, perché rincarare la dose mettendo a repentaglio quello che è il prerequisito fondamentale delle liberlademocrazie occidentali, l’autonomia della politica e la possibilità di tutti e tutte di partecipare alla politica occupandosi della res publica.
Certo la storia del finanziamento pubblico è anche storia di costi, sprechi e “magna-magna”. Ma allora perché non interrogarsi sulla questione della trasparenza dei finanziamenti e dell’uso che ne vengono fatti invece di mettere in discussione l’intero sistema. La mala gestione dei fondi pubblici ha sicuramente deviato dal principio originario ed è un fenomeno che va combattuto e eliminato.
La liberaldemocrazia si basa sul principio della maggioranza e su quello del rispetto della minoranza che deve detenere delle stesse possibilità della maggioranza al fine di poterne un giorno prendere il posto attraverso le idee che propone. Come immaginare la sopravvivenza di tali principi in un sistema che diventerebbe “all’americana” dove un candidato può raggiungere fondi e donazioni privati anche doppie se non più rispetto all’avversario perché appoggiato dai maggiori gruppi d’interesse e dalle più importanti lobby economiche: due esempi opposti, da un lato Bush e la sua alleanza con le lobby petrolifere, dall’altro l’effetto Obama specialmente nella prima campagna elettorale che ha mobilitato una quantità di cittadini e gruppi di interesse rapiti dalla forza mediatica del primo candidato di colore e dalla sua campagna incentrata sull’HOPE del cambiamento.
Siamo sicuri che l’Italia sia una democrazia all’americana? Siamo davvero certi che il problema sia il finanziamento in sé e non la trasparenza di quei fondi? Siamo certi che tutti possano sopravvivere attraverso il modello 5 Stelle anche se non si hanno dietro la Grillo&Casaleggio Company? Siamo certi che in Italia non verrà meno il principio dell’autonomia della politica nel triangolo instabile potere politico-economico-mediatico? Non dimentichiamoci che, indipendentemente da quanto un italiano possa amarlo od odiarlo, Berlusconi ci ha dimostrato che detenere fondi economici e possibilità mediatiche (e perché no carismatiche) siano sicuramente valori aggiunti in politica, in alcuni casi determinanti per cambiare le sorti della scena politica. E ce lo dimostra da 20 anni, più o meno gli stessi nei quali ci interroghiamo sulla necessità di una legge sul conflitto di interessi che ancora non abbiamo approvato. E invece siamo arrivati alla proposta, choc per chi come me crede nella democrazia, di abolire il finanziamento pubblico alla politica. Sono contrario, non perché voglia chiudere gli occhi davanti agli sprechi, tutt’altro, sono il primo a volerli denunciare. Sono contrario perché credo che la politica sia l’interesse che tutti e tutte possono avere per la res publica e la sua amministrazione. Pertanto credo che lo Stato debba adoperarsi affinchè tutti, compreso il cassaintegrato della FIAT, il giovane disoccupato, la segreteria licenziata a causa del contratto in bianco, il ricercatore precario debbano poterne prendere parte senza restarne esclusi perché non detengono dei mezzi economici per sostenere l’impresa. Le idee, la passione, la politica non possono avere dei prezzi che escludono e discriminano. La politica è di tutti e tutte, la politica è autonomia, la politica è idee e progetti, la politica non è lobby economica e gruppi di interesse.

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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