Geoffrey West e l'equazione superlineare della città

12 Luglio 2013
Redazione YOUng
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Secondo ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, l’urbanizzazione in Italia si è verificata ad una velocità di 8 metri quadrati al secondo nel 2010. Questo è notevole, dato che il 2% del Pil italiano proviene dall’agricoltura, rispetto al 1,2% per gli Stati Uniti.

220330_west_1175716060Fisico teorico inglese, Geoffrey West si è dedicato negli ultimi anni a costruire una teoria che spiegasse in maniera scientifica lo sviluppo dei grandi centri urbani.

Le grandi metropoli sono più sostenibili

I grandi centri urbani seguono leggi matematiche, che permettono di prevederne lo sviluppo. Il fisico Geoffrey West ha cercato di scoprirle partendo da quelle che regolano l’esistenza degli esseri viventi.

Geoffrey West non pranza mai. Secondo il suo medico, la causa della sonnolenza e della leggera nausea che avverte sempre dopo i pasti è una lieve allergia ai prodotti alimentari. Quando lavora, cioè quando studia qualche equazione che ha scritto su un foglio o guarda il deserto dalla finestra del suo ufficio nel New Mexico, va avanti solo a tè nero e noccioline. La barba lunga e i capelli grigi e arruffati gli danno un’aria trasandata. È chiaro che considera le banalità della vita quotidiana, come farsi la barba, fastidiose perdite di tempo che lo distraggono da problemi molto più seri. West, che è un fisico teorico sempre in cerca di leggi fondamentali, paragona il suo lavoro a quello di Keplero, Galilei e Newton. “Ho sempre desiderato scoprire le leggi che governano l’universo”, dice. “È già incredibile che esistano. Ed è ancora più sorprendente che noi esseri umani siamo in grado di trovarle”.

Ma oggi West, un signore di settant’anni cresciuto nel sudovest dell’Inghilterra, non cerca più di risolvere i misteri dell’universo. Ha lavorato per anni all’università di Stanford e al Los Alamos national laboratory, ma ha deciso di lasciare questo settore della ricerca nel 1993, quando il congresso degli Stati Uniti ha annullato il finanziamento a un superacceleratore di particelle a magneti superconduttori che avrebbe dovuto sorgere in Texas. West non era ancora pronto ad andare in pensione e alla fine ha scelto di dedicarsi alle città. “Passiamo un sacco di tempo a pensare ai dettagli delle città come i ristoranti, i musei e il clima”, dice West. “Ma io sentivo che c’era qualcosa di più, che ogni città era governata da una serie di leggi nascoste”.

La crescita della popolazione urbana è un grande tema di attualità in tutto il mondo, dalle città-fabbrica del sud della Cina alle tentacolari favelas di Rio de Janeiro. Per la prima volta nella storia la maggior parte degli esseri umani vive nelle aree urbane. E il ritmo dell’urbanizzazione sta aumentando, perché molte persone continuano a lasciare le campagne. West voleva cominciare da zero, studiare le città come se non fossero mai state studiate prima. Era stanco delle teorie urbanistiche, voleva inventare una nuova scienza. Questo significava cercare prima di tutto di raccogliere il maggior numero possibile di informazioni sulle città. Insieme a un gruppo di ricercatori che comprendeva anche Luis Bettencourt, un altro scienziato che aveva abbandonato la fisica convenzionale, West ha cominciato a setacciare biblioteche e siti web governativi alla ricerca di dati significativi. Il team ha esaminato un’enorme quantità di variabili, dal numero totale di cavi elettrici posati a Francoforte sul Meno a quello di laureati di Boise, nello stato americano dell’Idaho. I ricercatori hanno raccolto dati anche sui distributori di benzina e sui redditi, sulle epidemie d’influenza e sui tassi di omicidio, sul numero di bar e sulla velocità dei pedoni.

Dopo due anni di ricerche, Bettencourt e West hanno scoperto che tutte queste variabili potevano essere descritte da un paio di semplici equazioni. Conoscendo, per esempio, la popolazione di un’area metropolitana in un certo paese, è possibile stimare con un’accuratezza dell’85 per cento il suo reddito medio e le dimensioni del sistema fognario. “Abbiamo trovato le costanti che descrivono le città”, spiega West. “Posso fare previsioni precise sul numero di reati e sulla superficie occupata dalle strade in una città giapponese di duecentomila abitanti senza sapere niente di questa città, neanche dove si trova né qual è la sua storia. Ogni città è uguale alle altre”.

È strano pensare alle metropoli in termini così astratti. Di solito descriviamo le città come luoghi con caratteristiche uniche dal punto di vista storico e geografico. Eppure, West ripete che questi fatti sono dettagli, aneddoti interessanti che non spiegano molto. Secondo lui, il solo modo per capire le città è conoscere la loro struttura profonda, trovare un modello che ne spieghi il funzionamento, in modo da prevedere se sono destinate a svilupparsi o a morire. West sostiene di aver capito come funzionano le città. Nel 1997 ha pubblicato uno degli studi più discussi e allo stesso tempo più influenti della biologia moderna. L’ultima riga dell’articolo, apparso sulla rivista Science, riassume il senso dell’intera ricerca: West e i suoi colleghi sostenevano di avere risolto “il problema di fondo della diversità biologica”, dimostrando che le caratteristiche vitali di tutti gli animali – la frequenza cardiaca, le dimensioni, il fabbisogno calorico – sono collegate tra loro. Le equazioni matematiche scritte da West e dai suoi colleghi sono influenzate dalle scoperte del biologo Max Kleiber.

All’inizio degli anni trenta, quando lavorava al dipartimento di zootecnia dell’università della California a Davis, Kleiber notò che le differenze tra le varie specie del regno animale potevano essere descritte da un semplice rapporto matematico, secondo il quale il tasso metabolico di una creatura vivente è uguale alla sua massa elevata alla potenza di tre quarti. Questo principio aveva implicazioni importanti, perché dimostrava che le specie più grandi hanno bisogno di meno energia per ogni chilo di peso rispetto a quelle più piccole. Per esempio, pur essendo diecimila volte più grande di un porcellino d’India, un elefante ha bisogno di una quantità di energia solo mille volte più grande. In seguito altri scienziati hanno scoperto più di settanta leggi di questo tipo, definite dalle cosiddette equazioni “sublineari”. Non importa che aspetto abbia l’animale, dove viva o come si sia evoluto, queste leggi sono quasi sempre valide.

Struttura interna

Traducendo questi schemi biologici in matematica, West e i suoi colleghi sono stati in grado di confermare le leggi di Kleiber. E nel 2002, quando lo scienziato ha cominciato a pensare seriamente alle città, la possibilità di applicarle ai centri urbani gli è sembrata ovvia: una metropoli è come un grande organismo definito dalla sua struttura interna. Dopo aver analizzato la prima serie di dati, West e i suoi collaboratori si sono convinti che le città somigliano agli elefanti. Tutti gli indicatori del “metabolismo” urbano, come il numero di stazioni di servizio o la superficie complessiva delle strade, dimostrano che quando le dimensioni di una città raddoppiano, l’aumento di risorse necessario è solo dell’85 per cento.

Alcune implicazioni di questa semplice osservazione possono essere sorprendenti. Sembra, per esempio, che le città moderne siano i veri centri della sostenibilità. Secondo i dati raccolti dai ricercatori, le persone che vivono in luoghi densamente popolati hanno bisogno di meno riscaldamento nei mesi invernali e in generale di meno chilometri di asfalto a testa. Ma la città non è frugale come un elefante. Le equazioni biologiche, quindi, non spiegano del tutto la crescita delle aree urbane. Come dice West, “nessuno si trasferisce a New York per risparmiare sulla bolletta del gas”.

Perché allora sopportiamo tutti i disagi della città? Le scuole che non funzionano, gli appartamenti troppo cari e gli ingorghi del traffico? Secondo i ricercatori, preferiamo le città perché facilitano i rapporti umani, perché le persone concentrate in pochi chilometri quadrati si scambiano più facilmente idee e collaborano tra di loro. “Se chiedete a qualcuno perché si è trasferito in città, vi darà quasi sempre le stesse motivazioni”, dice West. “Lo ha fatto per trovare lavoro, per seguire gli amici o per essere al centro della scena sociale. È per questo che paghiamo un affitto più caro. In città si va per le persone, non per le infrastrutture”.

West cita le ricerche di Jane Jacobs, un’attivista morta nel 2006, che ha scritto Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane (Einaudi 2009). Jacobs sosteneva la necessità di difendere i piccoli quartieri, come il Greenwich Village di New York e il North End di Boston. Il valore di queste aree urbane, diceva, è che facilitano la libera circolazione di informazioni tra i cittadini. Nel suo saggio Jacobs faceva l’esempio della strada del Village dove abitava e paragonava i suoi affollati marciapiedi a un “balletto” spontaneo, eseguito da persone di origine ed estrazione diversa. Gli urbanisti avevano sempre considerato inefficiente questo tipo di quartieri, mentre Jacobs era convinta che certi scambi casuali erano essenziali.

Parametri economici

La sfida di Bettencourt e West era trovare un modo per quantificare le interazioni urbane. Come al solito, i due ricercatori sono partiti dalle statistiche. Secondo i dati, ogni volta che le dimensioni di una città raddoppiano, tutti i parametri economici – dalle spese per costruire le case alla quantità di depositi bancari – aumentano di circa il 15 per cento a persona. Non ha importanza quant’è grande la città, la legge è sempre la stessa.

Mentre Jacobs aveva solo ipotizzato l’importanza delle interazioni urbane, West sostiene di aver trovato una “conferma scientifica” alle sue congetture. “I dati dimostrano chiaramente quello che Jacobs era stata così intelligente da prevedere”, spiega. “Quando si trovano tutte insieme, le persone diventano molto più produttive”. Negli ultimi anni, tuttavia, molte città statunitensi ad alto tasso di crescita, come Phoenix, hanno seguito un modello completamente diverso. Questi centri urbani hanno sacrificato gli spazi pubblici alle villette monofamiliari destinate ai lavoratori. West e Bettencourt hanno osservato che le opere a basso costo nelle periferie danno risultati deludenti in diversi indicatori urbani. Negli ultimi quarant’anni, per esempio, Phoenix ha registrato livelli di reddito e innovazione sotto la media. “Queste centri urbani”, dice West, “hanno avuto livelli di crescita notevoli ma allo stesso tempo insostenibili”.

Secondo i ricercatori, è inevitabile. West e Bettencourt hanno analizzato le variabili negative della vita nelle città, come la criminalità e le malattie, scoprendo che anche in questo caso si può applicare la stessa equazione matematica. Se le dimensioni di una città raddoppiano, i reati violenti, il traffico e i casi di aids pro capite aumentano solo del 15 per cento. “Questo significa”, dice Bettencourt, “che la crescita economica non è possibile senza un aumento contemporaneo delle cose che non ci piacciono. Quando la popolazione raddoppia, tutto quello che è legato alle reti sociali aumenta nella stessa percentuale”. West e Bettencourt definiscono questo fenomeno “incremento superlineare”, un modo elaborato per descrivere l’aumento di produttività delle persone che vivono nelle grandi città. “Quando noi esseri umani abbiamo cominciato a vivere nei centri urbani, abbiamo fatto qualcosa di assolutamente nuovo nella storia”, aggiunge West. “Ci siamo allontanati dalle equazioni della biologia, che sono sublineari. Tutti gli altri esseri viventi diventano più lenti quando le loro dimensioni aumentano. Con le città succede il contrario: man mano che crescono, tutto accelera. Non c’è un modello equivalente in natura. Sarebbe come scoprire che un elefante è in proporzione più veloce di un topo”.

Naturalmente, c’è un buon motivo per cui gli animali rallentano quando le loro dimensioni aumentano: per spostare tutta quella massa ci vuole energia. E dato che l’elefante deve mangiare di più per procurarsela, non si può permettere di correre come un roditore. Ma la crescita superlinea­re delle città non comporta queste restrizioni. Anzi, le equazioni urbane fanno prevedere un mondo che consuma sempre più risorse man mano che l’espansione delle città favorisce la crescita dell’economia.

West illustra questo punto traducendo la vita degli esseri umani in watt. “Un essere umano a riposo ha una potenza di 90 watt”, dice. “È la potenza che serve per starsene sdraiati. Un cacciatore-raccoglitore dell’Amazzonia, invece, ha bisogno di 250 watt, perché deve andare continuamente in cerca di cibo. Quanta potenza richiede uno stile di vita medio? Se sommiamo tutte le calorie di cui abbiamo bisogno e l’energia necessaria per far funzionare il nostro computer e l’aria condizionata, arriviamo a una potenza di undicimila watt. Ora proviamo a chiederci: ‘Che tipo di animale ha bisogno di undicimila watt per vivere?’. Scopriremo che abbiamo creato uno stile di vita che consuma più energia di una balena azzurra, il più grande animale che sia mai esistito. È per questo che il nostro stile di vita è insostenibile. Il pianeta non può sostenere sette miliardi di balene azzurre. Non sappiamo neanche se può permettersene trecento milioni”.

Limitatezza delle risorse

West vede la storia umana come un continuo conflitto tra la tendenza all’espansione e la penuria di risorse, tra la crescita resa possibile dalle città e la limitatezza delle materie prime che la frena. “L’unico momento in cui le equazioni superlineari si fermano è quando esauriamo qualcosa di cui abbiamo bisogno”, dice West. “A quel punto la crescita rallenta. E se non si verifica nessun altro cambiamento, prima o poi il sistema crolla”. Come possiamo evitare che succeda? Con le innovazioni. Quando una risorsa si esaurisce, siamo costretti a sfruttarne una nuova, se non altro per mantenere la nostra crescita superlineare. Ma la soluzione è solo temporanea, perché ogni innovazione prima o poi provoca l’esaurimento di altre risorse. Dopo aver esaurito le foreste, siamo passati al petrolio. Quando avremo finito le nostre riserve di combustibili fossili, cominceremo a costruire macchine elettriche, almeno fino a quando non avremo esaurito il litio.

E dal momento che il nostro stile di vita è ormai insostenibilmente costoso, ogni nuova risorsa si esaurisce più in fretta. Questo significa che il ciclo dell’innovazione deve accelerare continuamente e che ogni nuova scoperta ci aiuta per un periodo più breve. Il risultato è che le città intensificano non solo il ritmo della vita, ma anche la velocità con cui cambia. “È come essere su un tapis roulant che va sempre più veloce”, dice West. “Un tempo le grandi rivoluzioni si verificavano a distanza di migliaia di anni. Ma è bastato un secolo per passare dalla macchina a vapore al motore a combustione interna. Ora c’è una grande innovazione ogni quindici anni. Per la prima volta nella storia una persona può vivere più di una rivoluzione. E tutto questo lo dobbiamo alle città. Quando abbiamo cominciato a inurbarci, siamo saliti su quel tapis roulant. Abbiamo rinunciato alla stabilità per avere la crescita. E la crescita richiede continui cambiamenti”.

Ascoltando le parole di West sulle città è facile dimenticare che le sue affermazioni categoriche nascono da pure e semplici correlazioni matematiche e che i suoi dati statistici lasciano solo intravedere una spiegazione. Bettencourt e West ammettono che le equazioni sono imperfette, ma sono sicuri che il loro lavoro sia comunque un primo passo. “Le leggi sul moto dei pianeti scoperte da Keplero non erano perfette”, dice West. “Ma costituirono la base per quelle di Newton”.

West è convinto che la sua teoria di base, quella delle equazioni superlineari e sublineari, resterà comunque valida. Anzi, è così soddisfatto della sua ricerca sulle città che di recente lui e Bettencourt hanno cominciato a prendere in esame un altro soggetto: le grandi aziende. A prima vista, le città e le aziende si somigliano molto. Sono entrambe grandi agglomerati di persone che interagiscono tra di loro in uno spazio fisico ben definito. Dispongono di infrastrutture e capitale umano: il sindaco è una specie di amministratore delegato della città.

Ma differiscono almeno per un aspetto fondamentale: le città non muoiono quasi mai, mentre le aziende sono estremamente effimere. Dopo aver consultato i dati di 23mila società quotate in borsa, i due studiosi hanno scoperto che la produttività aziendale, diversamente da quella urbana, è totalmente sublineare. Se il numero dei dipendenti aumenta, la quota di profitti pro capite diminuisce. Secondo West, la precarietà delle aziende aiuta a capire qual è la vera forza delle metropoli. A differenza delle imprese, che sono governate dall’alto da un gruppo di persone ben pagate, le città sono luoghi indisciplinati, che sfuggono ai desideri dei politici e degli amministratori. “Le città sono ingestibili ed è proprio questo che le rende così vive”, dice West. “Sono solo una massa confusa di persone, che vanno a sbattere le une contro le altre e al massimo hanno in comune un paio di idee. È la loro estrema libertà che le mantiene vive”.

Jonah Lehrer è uno scrittore e giornalista statunitense che si occupa di psicologia e neuroscienze. In Italia ha pubblicato ” Come decidiamo”.

Traduzione di Bruna Tortorella per l’Internazionale


L'AUTORE
La redazione di YOUng
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