Non solo Shalabayeva. Flavio Sidagni, italiano dimenticato nelle carceri kazake

17 Luglio 2013
Redazione YOUng
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sidagniC’è un italiano dimenticato nelle carceri del Kazakistan. Si chiama Flavio Sidagni, era un manager dell’Eni e nell’Aprile 2010 è stato arrestato per poi venire condannato a 13 anni di carcere per essersi fatto uno spinello.
C’è stata una sua lettera a Repubblica, un appello della madre ottantenne a Berlusconi quando, da Presidente del Consiglio, stava per andare in visita in Kazakistan, appello che cadde nel vuoto, un gruppo Facebook che si è spento nel tempo, poi nessun’altra notizia.
L’intreccio di soldi e potere tra Italia, Russa e Kazakistan è complesso e ruota tutto intorno a un territorio kazako di pochi km quadri, che estrae petrolio e fattura un milione di dollari al giorno, garantendo ai soci (occulti, visto che la società ha sede in un paradiso fiscale) metà del profitto: il territorio è quello di Chinarevskoye e la società si chiama Zhaikmunai Llp.
Un intreccio complesso che si consuma in un Paese come il Kazakistan dominato da mafia e corruzione e al capo del quale c’è un dittatore-guitto che gode dellimperitura stima di Silvio Berlusconi. I due si sono spesso complimentati a vicenda, sognando di emularsi l’un l’altro: Berlusconi quando sognava il consenso “spontaneo” del 92% della popolazione  per Nazarbayev, e quest’ultimo che invidia ed emula il compare Italiano investendo soldi in cure e ricerche mediche in grado di allungare vita e salute.
Un intreccio sicuramente sufficiente a generare il disastro che stiamo vivendo, ma che soffoca anche la questione umanitaria della quale sembra che l’informazione e le istituzioni si siano dimenticati: un Italiano è detenuto nella cella di un paese governato da una dittatura, condannato a una pena di 13 anni per un reato che da noi è ridicolo.
L’Italia è quindi un paese capace di spendersi in operazioni e blitz tanto “segreti” da essere fatti all’insaputa di un Ministro dell’Interno e di un Ministro degli Esteri, per poter rimpatriare moglie e figlia del più grande nemico politico del dittatore kazako, e non è in grado non dico di far rimpatriare un Italiano imprigionato in un Paese che, come denuncia Amnesty International, non ha ancora dimostrato di aver sradicato la pratica della tortura, ma anche solo di tenere alta l’attenzione sul caso.
Chi ha sbagliato deve pagare, certo, ma il più grande errore che facciamo ogni giorno, è di non esercitare la memoria e di permettere che storie come quella di Sidagni accumulino polvere fino a venire completamente coperte.
Prigionieri del silenzio, come giustamente titolava in questo articolo Linkiesta, e sono oltre tremila. Tra questi tremila casi ci saranno altri Sidagni, ma per loro nessun blitz, nessun interesse politico, né mediatico.

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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