Giulio Terzi in diretta dal G20 di Pietroburgo – Emergenza Siria

5 Settembre 2013
Redazione YOUng
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“Possiamo “girarci dall’altra parte” in presenza di crimini contro l’Umanità, come fece qualcuno inizialmente dinnanzi al nazismo 50 anni fa, solo perché chi ne ha materiale interesse mette un veto in sede ONU…?”

1185548_549055621827341_920842951_nE’ questo l’interrogativo con cui Giulio TerziMinistro degli Esteri nel Governo Monti, conclude la sua lucidissima analisi sulla crisi siriana, ripercorrendone li inizi e gli sviluppi che hanno portato alla situazione attuale. Terzi si dimostrò capace di rapportarsi alla crisi siriana con competenza e spirito di iniziativa, caratteri totalmente assenti, dobbiamo rilevare con rammarico, nell’inazione dell’attuale Ministro Bonino, che si affida alle sorti del digiuno papale, mentre, nello stallo diplomatico, il feroce dittatore siriano è arrivato a usare armi di distruzione di massa, contro il cui presunto possesso si combatté una guerra infinita in Iraq.

IL “CONTAGIO” DELLA CRISI…

“La crisi siriana è stata dalla primavera 2011 al centro delle preoccupazioni italiane ed europee e di tutti i Paesi con maggior sensibilità agli equilibri nel Mediterraneo e in Medio Oriente. In uno dei miei primi incontri ufficiali come Ministro degli Esteri, un importante interlocutore Turco profondo conoscitore del regime di Assad fece la seguente previsione, quasi profetica: “Assad non è disposto a vere riforme. Ora (eravamo a fine 2011, ndr) i suoi cecchini spareranno e uccideranno manifestanti inermi, molti verranno incarcerati e torturati, e se le manifestazioni proseguono il regime userà i carri armati, e se l’opposizione reagirà con le armi inizieranno i bombardamenti dell’aviazione, e se il conflitto continuerà ci sarà per Assad l’opzione delle armi chimiche…”.

La sequenza descrittami si è avverata con precisione impressionante. La crisi continua ad aggravarsi fuori e dentro la Siria, destabilizza con enormi flussi di rifugiati un paese fragile come la Giordania, preme sulla Turchia, dilaga verso il Libano, e colpisce l’Iraq, e lambisce le nostre coste con le migliaia di disperati che sempre più dalla Siria affrontano enormi rischi per trovare rifugio in Europa. Vi è inoltre il concreto rischio che Assad passi agli Hezbollah in Libano armi chimiche: come non farlo, dopo il determinante aiuto da loro dato nella riconquista di Qusair? Sono probabili infiltrazioni di elementi Jihadisti nei campi profughi in Libano, Giordania e Turchia. Infine si drammatizza l’ossessione di Israele per la sempre più concreta prospettiva che Teheran raggiunga la soglia nucleare, in un quadro regionale in rapido deterioramento, nel quale la “capacita’ nucleare” iraniana darebbe un impulso straordinario alle pulsioni “messianiche” e aggressive del mondo sciita e degli Hezbollah in particolare. Nuove efficienti centrifughe sono state installate: l’uranio arricchito al 20% (la percentuale critica per portarlo in una sola operazione a livello “bombabile”) è già prossimo alla quantità necessaria a trasformarlo in un ordigno nucleare.

Serve poco o nulla dire che non si doveva assolutamente arrivare a questo punto. Bisogna però riconoscere che dei rischi di tutto quello che sta avvenendo erano perfettamente consapevoli i Governi americano e europei sin dall’esplosione delle rivolte nel 2011. Si sapeva perfettamente che la crisi sarebbe rapidamente degenerata se lasciata a se stessa, con il conseguente rischio di “globalizzazione” del conflitto. Non c’è stato incontro o riunione internazionale degli ultimi due anni in cui la questione siriana non sia stata posta nella più alta priorità, per i suoi aspetti di sicurezza e per l’emergenza umanitaria. I Governi hanno lavorato senza sosta a una soluzione politica: insistendo prima affinché Assad varasse delle vere riforme, quindi, per un negoziato serio tra regime e opposizioni, infine per trattative facilitate dall’ONU prima con Annan e poi con Brahimi. Sono state investite somme ingenti nell’aiuto umanitario (i soli aiuti di prima necessità per i rifugiati si aggirano sugli 8 miliardi di dollari l’anno e crescono senza sosta). La vera natura della posizione russa e iraniana (la precondizione che Assad debba continuare nel suo ruolo anche durante il negoziato e senza interrompere i bombardamenti) ha fatto naufragare due anni di sforzi diplomatici, e sta provocando lo stesso effetto sul cosiddetto negoziato di “Ginevra 2”, soluzione “esclusivamente politica” che tutti vogliamo ardentemente ma che di fatto non è per nulla all’orizzonte.

Intanto, gli eccidi proseguono: persino i residenti di Campo Ashraf, dissidenti iraniani la cui sicurezza era garantita dalle Nazioni Unite, sono stati massacrati negli ultimi giorni approfittando della “distrazione” internazionale sulla Siria… e la grande stampa è rimasta in silenzio…

LA SIRIA E’ UN PROBLEMA NOSTRO? 

_69616239_syria_refugees_624_3septNei giorni scorsi – prima che emergessero prove inconfutabili dell’impiego di gas Sarin da parte delle truppe governative siriane, uso che sarà sicuramente certificato anche dagli ispettori ONU dopo la fase di “decantazione” suggerita da Ban Ki Moon – Edward Luttwak proponeva sulla stampa americana una tesi che ha avuto una certa presa nelle dichiarazioni politiche e sulla stampa del nostro Paese: “Che le cose vadano come devono andare, se la vedano i siriani tra loro. Lasciamo che le diverse fazioni sunnite e alawite, sostenute le prime dai Paesi del Golfo e dalla Turchia, le seconde da Iran e Russia – regolino i loro conti senza coinvolgimenti occidentali…”. Secondo questa impostazione, è illusorio pensare di isolare le opposizioni moderate guidate sul terreno dal generale Idris, da quelle estremiste e Jihadiste … Altrettanto improbabile che la Russia, con la base navale a Tartus e le continue e ingenti forniture di armi, e l’Iran, che ha in Siria un vero corpo di spedizione composto da migliaia di Hezbollah libanesi e da ufficiali Pasdaran, si rassegnino alla caduta di un regime al quale Mosca e Teheran sono strettamente legati nonostante questa orrenda guerra civile… Meglio quindi sarebbe per USA e UE – secondo la tesi Luttwak – *praticare una spregiudicata realpolitik*, anzichè creare anche solo dei “corridoi umanitari” o istituendo una “No fly zone” per proteggere la popolazione dai bombardamenti. Addirittura, secondo questa tesi, l’Occidente avrebbe anzi interesse che il conflitto prosegua e si autoalimenti:
– a) in primo luogo per lasciar dissanguare nella carneficina siriana le diverse fazioni: Jihadisti contro sunniti moderati, entrambi contro alawiti/sciiti, sunniti e sciiti contro curdi, etc;
– b) in secondo luogo, per tenere i Russi impegnati in un teatro dal quale non otterranno dopo la sopravvivenza di Assad al potere alcun “maggior ritorno”, né finanziario né strategico, se pensiamo al discredito derivato a Mosca in tutto il mondo arabo sunnita (anche perchè la Coalizione dell’Opposizione Siriana aveva da tempo rassicurato Mosca che in caso di rovesciamento di Assad la base russa di Tartous non sarebbe stata coinvolta). Sostenere a oltranza il regime risponderebbe perciò per la Russia a uno “Zero sum game” verso l’Occidente più che a oggettive esigenze strategiche;
– c) infine, per l’Iran il coinvolgimento in una Siria spaccata in tre tronconi, alawita a ovest, sunnita nelle regioni centrali, e curdo a est, e la perdurante conflittualità tra loro in una sorta di “megalibanizzazione permanente”, sarebbe talmente impegnativo che ridimensionerebbe le altre ambizioni regionali degli Ayatollah iraniani…
Quanti interrogativi sollevi questa teoria dipende anche da *giudizi etici*: è sostenibile una “realpolitik” che porterebbe al massacro di altre centinaia di migliaia di esseri umani? A mio avviso è un orrore anche solo pensarlo, dopo lo sterminio che ha già ucciso 150.000 siriani, ne ha fatti fuggire all’estero 2 milioni, e a fatto sfollare dalle proprie case all’interno del paese un quarto dell’intera popolazione nazionale siriana: *risultati criminali che – forse non ci rendiamo conto – solo Stalin e Hitler hanno saputo superare, ma non di tanto*, se si considerano le proporzioni tra le popolazioni coinvolte e il periodo relativamente recente dell’escalation Siriana…

L’OCCIDENTE E’ CREDIBILE…?   

1236704_568995176496936_2013948216_nQualcuno ha sostenuto che esisterebbe solo un punto positivo in un Occidente che punisca Assad per l’impiego di armi di distruzione di massa: il punto riguarda la *coerenza della politica estera occidentale*. A fine agosto 2012 vi sono state le prime avvisaglie di impieghi limitati di gas contro la popolazione civile: un test per sondare reazioni della comunità internazionale. Obama tracciava allora la famosa “linea rossa“: vi si associavano i principali Paesi UE e NATO, e la stessa Russia esprimeva preoccupazione per l’uso di armi chimiche. Il tema vero è quello – estremamente importante – della “credibilità”: una qualità che si acquista, nella politica come nella vita di ognuno di noi, con linearità e coerenza di comportamenti, aderenza a valori di riferimento, prevedibilità e razionalità nelle scelte, capacita di dialogare e di comunicare. Sulla Siria vi sono state invece oscillazioni, incoerenze, equivoci che hanno ridotto la credibilità del mondo occidentale, nella linea USA ma anche in quella dell’UE. Durante l’estate 2012, con il gruppo “Amici del popolo Siriano” si stava trovando una certa unità di obiettivi (Documento di Doha) per porsi come alternativa politica al regime di Assad sulla base di principi *inclusivi e democratici*. Le forze ribelli al regime, composte in ampia maggioranza da elementi in quel periodo non ancora inquinati dai Jihadisti, guadagnavano considerevolmente terreno. Ma nella seconda metà 2012, il sostegno politico e logistico all’opposizione si arenò, nonostante le pressioni su Washington di alcuni europei, in primis inglesi e francesi. Nonostante voci autorevoli dell’Amministrazione Obama premessero per accrescere l’impegno politico e materiale per ottenere l’uscita di scena di Assad come Presidente e poi promuovere una soluzione negoziata tra le diverse componenti della società siriana (Alawiti inclusi, ovviamente), alla Casa Bianca si frenava: il motivo palese era quello di evitare che nella campagna per la rielezione del Presidente prendesse prepotentemente corpo la questione Siriana… Con la nomina di Kerry alla Segreteria di Stato il clima a Washington sembrò però cambiare ancora: mi venne chiesto di organizzare a Roma una riunione degli undici paesi del Core Group degli “Amici del Popolo siriano”, che si concluse con una netta decisione a dare corso a forme di sostegno politico e materiale all’opposizione. Ma nel frattempo, sei mesi di “stop and go”, e l’occasione colta da Russia e dall’Iran per moltiplicare ogni tipo di aiuti militari al regime, con intervento diretto nel Paese di un corpo di spedizione sciita, modificavano sensibilmente gli equilibri sul terreno. La riluttanza delle opinioni pubbliche americana e europee a prendere rischi nell’inviare armi che potessero finire ai Jihadisti convinse Assad e i suoi alleati a spingere sull’acceleratore, e ora a fare il passo della “soluzione finale” contro ogni forma di dissidenza interna mediante le armi chimiche. La cronaca degli ultimi giorni desta estrema preoccupazione. La debacle parlamentare di Cameron, il conseguente ripiegamento di Obama su un voto congressuale che ritarda ogni decisione, lo sconcerto creato a Parigi dove un Presidente socialista aveva immediatamente risposto all’appello Statunitense, le dichiarazioni di Governi che si professano amici e stretti alleati ma che contribuiscono solo ad aggravare le difficoltà di Washington, gettano un ombra sulla credibilità occidentale, con ricadute su molti scenari: poco peso oggi nelle vicende medio-Orientali, poco peso domani nel negoziare con la Cina un quadro di sicurezza e di misure di fiducia nelle diverse aree contese con il Giappone, il Vietnam, le Filippine, nello stabilizzare il rapporto tra le due Coree, negli spazi di influenza sui quali si inserisce la Russia per l’Ucraina, la Bielorussia, la Moldavia, e ancora per molte altre situazioni critiche da gestire nei quattro angoli del pianeta. In questo senso, concreto, immediato, e niente affatto accademico, *la questione siriana è di natura globale per gli interessi nazionali di tutto l’occidente*. E’ la “deterrenza” nell’uso delle armi di distruzione di massa che è riuscita a tenere in equilibrio gli enormi arsenali nucleari della guerra fredda, perchè erano note le regole di ingaggio e prevedibili con ragionevole certezza le risposte. Zigzagare tra “linee rosse” e annunci di interventi militari con conseguenti retromarce, è l’ultima cosa da fare per dissuadere Teheran dal dotasi di un arma nucleare. E se ciò dovesse accadere, dubito davvero che noi tutti – inclusi coloro che oggi chiedono di girare lo sguardo dall’altra parte – dormirebbero in occidente sonni tranquilli…Forse non ce ne rendiamo pienamente conto, ma in questi mesi stiamo probabilmente “giocando” con il futuro dell’intero pianeta…

PERCHE’ ABBIAMO LA “RESPONSABILITA’ DI PROTEGGERE” LA POPOLAZIONE SIRIANA…?

1236134_543402112379572_1598146814_nObama ha sottoposto al Congresso la decisione dell’intervento militare contro l’utilizzo di armi chimiche in Siria, anche se non era tenuto a farlo e suoi principali Ministri e Consiglieri la ritenevano una mossa errata, sia perché la Costituzione e la prassi non lo prevedono, sia per il rischio che una operazione militare pubblicamente annunciata come imminente venisse poi sconfessata dal Parlamento, con disastrose conseguenze per la credibilità della politica estera Americana. Obama sta assumendosi un notevolissimo rischio sul piano interno e internazionale, che è tuttavia una chiara espressione di leadership, perché nel dover “forzare” la sua visione, contraria ad altri interventi militari americani, ha ritenuto di dover prima dimostrare di avere con se i rappresentanti dei cittadini, quindi il Congresso. Se vincerà la Sua scommessa, Obama ne uscirà rafforzato sul versante della sua attitudine a gestire le crisi, e un voto bipartisan – e i Repubblicani sembrano orientati in tal senso – può avere anche altri riflessi positivi sul complicato rapporto tra Casa Bianca e Congresso.

Sono giorni cruciali a Washington, Parigi, Londra e Bruxelles, dove la Nato si è ora espressa, attraverso il Segretario Generale Rasmussen, a favore di una ferma reazione contro Assad. Dobbiamo augurarci che anche da noi ci sia chi dimostri una chiara leadership sulla questione siriana. A questo riguardo, se è vero che lo Statuto delle Nazioni Unite legittima l’impiego della forza unicamente nel caso di autodifesa da un’aggressione, o quando il Consiglio di Sicurezza (Cds) lo autorizza, negli ultimi due decenni si è tuttavia venuta ad affermare nella comunità internazionale una nuova, acuta sensibilità a carattere umanitario, principalmente a causa di esperienze drammatiche e insostenibili per le coscienze dei cittadini: le stragi in Rwanda nel 1993 e 94, dove l’inazione di una ONU bloccata da divergenze e rivalità tra i Cinque membri permanenti con diritto di veto ha causato ritardi così gravi nell’intervento militare di interposizione da permettere un genocidio, pianificato con atroce freddezza, di 1 milione di esseri umani in pochi mesi; le vicende della Bosnia e il massacro di Sebrenica, sotto gli occhi indifferenti dei Peacekeepers dell’ONU, ancora per carenze nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza; la pulizia etnica in Kossovo nel 1998/99, dove militari e milizie serbe avevano iniziato una campagna criminale di eliminazione, imprigionamento e tortura dei “ribelli”. Fu a questo punto, dinanzi a un Consiglio di Sicurezza guarda caso anche allora bloccato dal veto Russo (Mosca aveva legami “storici” con i militari Belgradesi e con Milosevic…) che una coalizione di Paesi NATO lanciò – con l’importante partecipazione operativa e logistica dell’Italia durante il Governo D’Alema – una campagna militare durata quasi tre mesi e conclusasi – niente è a caso! – con la riattivazione del negoziato politico. I Balcani sono ora avviati tutti verso l’Europa: non è esagerato dire che l’intervento in Kossovo è stato uno degli aspetti determinanti per la ricostruzione della stabilità in quella Regione. Sulla base di questi importanti precedenti di inerzia con conseguenti stragi, e per contro di un intervento nei Balcani di cui la comunità internazionale non ha contestato la legittimità, determinata da una reale situazione di emergenza umanitaria, si è progressivamente affermata la “Responsabilita’ di Proteggere“. Sotto il profilo giuridico essa è stata elaborata da Gareth Evans in un rapporto del 2001, e poi è stata codificata dal Documento conclusivo del Vertice ONU del 2005. Da allora, questo principio ha continuato a evolvere per affermarsi in una dimensione “metagiuridica” e politica che mira a superare il cinico e strumentale utilizzo del veto in Consiglio di Sicurezza, quando questo viene espresso da uno o più membri permanenti unicamente per ragioni di puntiglio o di convenienza nazionale. Da molto tempo l’Italia combatte all’ONU una “battaglia diplomatica” per riformare il Consiglio di Sicurezza e ridurre drasticamente – o possibilmente eliminare – il potere di veto, per tutti e in ogni caso. E’ inconcepibile che ognuno dei 5 paesi vincitori del Secondo conflitto mondiale possa impedire – da solo – decisioni vitali per il mondo intero, sulle quali invece concorda la comunità internazionale nel suo insieme. In questo senso è poco credibile a mio giudizio lo “schermo” del Consiglio di sicurezza e della sua certa inazione per giustificare l’inazione di Paesi che, come il nostro, hanno sempre avvertito, e avvertono oggi l’orrore dell’utilizzo delle armi chimiche e delle conseguenti stragi di civili, uomini donne e bambini…possiamo “girarci dall’altra parte” in presenza di crimini contro l’Umanità, come fece qualcuno inizialmente dinnanzi al nazismo 50 anni fa, solo perché chi ne ha materiale interesse mette un veto in sede ONU…? VOI COSA NE PENSATE?

di Giulio Terzi 

a cura di Angelo Gabrielli – Osservatorio Italo Siriano

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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