USA vs. Russia: non si combatte in Siria ma nell'Artico

29 Settembre 2013
Giovanni Pili
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La guerra fredda non è mai finita, ha smesso solo di far notizia

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Due fatti importanti mi spingono ad aggiornare un articolo che scrissi in tempi non sospetti sul sito Anarchy in the UK: L’improvvisa svolta del braccio di ferro tra USA e Russia attraverso la questione siriana e l’arresto di un attivista italiano di Greenpeace, che operava coi suoi compagni nell’Artico, contro le attività di ricerca petrolifera… “Ricerca di petrolio nel Polo Nord?!”

Sul primo numero di Ambiente Energia dell’inverno 2012 sono apparsi due articoli di Gianmarco Vassalli e Marco Maroni, passati in sordina nel resto delle testate italiane, fino a quest’estate, per non parlare dei TG. L’articolo tratta di una guerra fredda, nel vero senso della parola. La Russia e gli Stati Uniti tornano a scontrarsi; la stavolta per la conquista dei giacimenti petroliferi e di gas nel Polo Nord, dove si troverebbero sotto i suoi ghiacci, il 13% dei giacimenti di petrolio ed il 30% di gas. Per non parlare dell’oro, del platino, il nichel, lo stagno, il manganese e tanto altro [1].

Contemporaneamente già si combatteva la guerra civile in Siria, dove i russi pro Assad hanno una base militare dai tempi dell’Unione Sovietica. Dalle informazioni che ci arrivavano sapevamo che i ribelli avevano il controllo di gran parte del territorio. Appare evidente oggi che la Siria è solo un teatro nel quale si dipana la lotta tra le due potenze, lungi dall’essersi conclusa col crollo del regime sovietico. Se oggi Assad accetta candidamente di eliminare le armi chimiche – evidentemente il suo governo ne dispone a sua insaputa – la risposta non va trovata solo in quella regione, ma in un quadro più ampio.

Quanti di noi sapevano dell’esistenza di un Consiglio Artico a Noouk, in Groenlandia? Esiste già dal 1996; ne fanno parte oltre alle due potenze già citate anche il Canada, la Danimarca, tutti i Paesi Scandinavi e l’Islanda – da notare che la ripresa dopo il default di quest’ultimo paese dipende proprio dalla sua indipendenza energetica. Curiosamente fanno parte di questo consiglio anche i rappresentanti dei Lapponi, (sic). Il Consiglio Artico dovrebbe servire a coordinare i soccorsi marittimi in un’aera seconda solo al Polo Sud per le sue condizioni proibitive. Nessuno dovrebbe poter vantare pretese territoriali ai poli, ma le nazioni del CA vi confinano e sconfinano abbondantemente. Così chi può dire dove finiscono i confini degli stati e comincia il territorio libero Artico? Secondo una convenzione ONU del 1982, gli stati possono considerare «”zona economica esclusiva” su cui esercitare i diritti di sfruttamento, le aree che si estendono per 200 miglia nautiche dalla costa … Se però uno Stato dimostra che la piattaforma continentale … si estende oltre le 200 miglia, può rivendicarne il diritto esclusivo di sfruttamento» [2]. Se l’ONU si preoccupa di fare una norma del genere e contemporaneamente (si ricordi che Russia e Stati Uniti hanno diritto di veto) prepara anche un cavilloso rimedio, per una zona apparentemente poco interessante alle borse, come i ghiacci nordici, evidentemente non si tratta solo di vaghe stime, prodotte da geologi strafatti. Una nuova corsa all’oro (nero) si prepara già dal periodo post crisi del ’73, pochi anni dopo gli americani potevano vedere Carter in abiti sobri montare i pannelli solari nella Casa Bianca e il Club di Roma rendeva noti gli studi del MIT di Boston riguardo i rischi di un esaurimento delle scorte fossili entro il 2030. Se si vanno a cercare le pubblicazioni dell’epoca, troveremo già riferimenti a presunti giacimenti nascosti nel Polo Nord.

I Russi – scienziati prezzolati alla mano – continuano a sostenere che la Dorsale di Lomonosov (propaggine che va dalla Siberia del Nord alla Groenlandia) sarebbe un prolungamento del loro territorio. La cosa è ancora dibattuta, ma l’ex Unione Sovietica si porta avanti: «Mosca nel 2007 ha raggiunto con un sommergibile i 4.300 metri di profondità e posato una bandiera in titanio … sul fondale di un’area contesa anche dalla Danimarca» [3]. A fine anno i paesi del CA dovranno presentare alle Nazioni Unite i propri dossier dove avanzeranno pretese territoriali, specialmente a scapito della Russia, la quale sta lavorando – già da un anno – ad un proprio documento da presentare l’anno prossimo.

Fino a che punto la questione siriana e la presunta distensione con l’Iran (che ricordiamo, rischia di essere circondata dalla presenza americana nei paesi confinanti) possono essere decisivi in questa guerra fredda mai realmente conclusa? Certamente le mosse del governo di Mosca potrebbero dare un notevole potere contrattuale alla Russia.

Mosca ha già preparato due brigate artiche, da impiegare in difesa del loro territorio marittimo e si suppone anche, della contesa Dorsale di Lomonosov, che oltre ad essere rivendicata dalla Danimarca è anche decisamente vicina al Canada ed agli Stati Uniti.

Questo riarmo interessa già le basi navali di Murmansk e  Arkhangelsk; queste brigate dovrebbero stanziarsi anche nel porto di Sabetta, nella penisola di Yamal, molto vicino alle coste settentrionali dell’Alaska. Due anni fa Putin dichiarò che «La Russia espanderà la sua presenza nell’ Artico» e difenderà «con forza e con decisione» i suoi interessi. Se non bastasse, questo è quanto dichiarò l’anno prima: «Da un punto di vista geopolitico, i nostri interessi nazionali più vitali sono legati all’ Artico»[4]. Per quanto ne sappiamo, si tratterebbe di brigate, composte da migliaia di uomini: truppe da sbarco, aviotrasportate, dotate di elicotteri ed equipaggiate persino contro la guerra batteriologica.

È stato proprio l’ambasciatore americano a Oslo, Benson K. Whitney a parlare di «toni da Guerra fredda» a proposito della condotta di Mosca. Così si ricorse ai ripari: Francia, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito e Spagna ottennero di entrare come osservatori nel CA; sullo stesso piano dei Lapponi, a cui va tutta la nostra simpatia; nessuno ha chiesto ancora un loro parere, benché siano i padroni di casa – del resto sarebbe difficile accusarli di detenere armi chimiche. Si sono aggiunti anche la Cina, la Corea del Sud, il Giappone e l’Unione Europea.

Traduzione: gli Stati Uniti stanno chiamando in raccolta i loro vassalli (eccezion fatta per la Cina, che probabilmente è il terzo incomodo) per fronteggiare la minaccia russa, mai così vicina nella storia ai suoi interessi territoriali ed economici.

Nell’ultimo summit di Lisbona la NATO ha affermato la sua precisa volontà di creare una coalizione nordica, si suppone non per proteggere i Lapponi da Al-Qaida.

A proposito di questo, sarebbe interessante capire cosa ne pensa l’Iran, anzi a giudicare dal clima di “apertura” del nuovo governo di Teheran, possiamo farcene un’idea. Quali saranno i futuri assetti diplomatici dal 2014 in poi? L’Iran è anche un grosso fornitore mondiale di gas e petrolio, l’unico finora che non subisce l’egemonia americana e dialoga già con Cina e Russia. Uno spostamento dell’asse dal Medio Oriente al Polo Nord produrrebbe sicuramente degli squilibri nello scacchiere internazionale.

Al di là dei giochi diplomatici, il problema di fondo è nostro: siamo tutti Lapponi. Dovremmo tifare per loro; per la difesa dell’ambiente, di cui siamo tutti nativi. Fino all’altro ieri ci avevano detto che cercare nuovi giacimenti – oltre ad essere un mero rimandare sine die il problema dell’esaurimento scorte – era anche sconveniente, perché cercare in zone come quelle polari implica grandi costi. Perché allora tutto questo interesse? Il motivo è molto subdolo; psicopatico ad essere franchi. Si calcola, che a causa dell’effetto serra, già entro il 2030 (anno in cui si prevede l’esaurimento delle scorte) scompariranno i ghiacci polari d’estate. I danni idrologici che si ripercuoteranno in tutto il mondo non interessano particolarmente le borse, quanto il fatto che in condizioni simili, trivellare costa meno.

Cominciando già da oggi, l’aumento delle emissioni creerà un circolo vizioso: più gas serra, uguale a meno ghiacci, quindi i costi di estrazione 
diventeranno convenienti.

In quelle regioni, l’unica flotta che naviga in difesa dei diritti della natura (che la stessa Islanda, membro del CA, riconosce nella sua costituzione) è quella di Greenpeace[5], che da filo da torcere alle piattaforme nell’Artico. Il 17 giugno 2011 venne arrestato dalle autorità danesi il direttore esecutivo di questa organizzazione, Kumi Naidoo; (assieme ad altri attivisti, tra i quali Paul Simonon ex bassista dei Clash – punk band, che manco a farlo apposta cantava “police on my back”[6]) a bordo della nave Esperanza ha occupato per circa 90 minuti la piattaforma petrolifera Leiv Eriksson, operante a 120km dalla costa groenlandese. Sì era portato a presso 50.000 firme di sostenitori da tutto il mondo, i quali chiedevano di rendere pubblici gli eventuali provvedimenti, che la Cairn (società trivellatrice) avrebbe preso in caso di disastro ambientale. «Prima di abbandonare la Esperanza per dirigersi verso la Leiv Eriksson, Kumi Naidoo ha dichiarato: “Questa è una delle battaglie ambientali qualificanti della nostra epoca, è una lotta contro la follia e contro un atteggiamento mentale che vede lo scioglimento dei ghiacci come una cosa buona. Mentre i ghiacci vanno ritirandosi, le compagnie petrolifere si organizzano per inviare piattaforme che estrarranno quelle fonti fossili che sono la causa prima dello scioglimento dei ghiacci stessi. Dobbiamo fermarli. E’ questione vitale rispetto al mondo che vogliamo e al mondo che intendiamo lasciare ai nostri figli”»[7].

Teste di ponte di una sempre più vicina corsa all’oro-nero, che fonda i suoi profitti sugli effetti nocivi dei gas serra. Anche questo è liberismo. Anzi, ne testimonia la vera essenza. Uno dei motivi per cui questa guerra fredda non fa notiza è proprio lo scandalo dei motivi reali che la causano: non la rivalità tra due modi di vedere la società – infatti il crollo dell’URSS non vi ha posto fine – quanto i soliti interessi di egemonia economica, che passa attraverso il controllo delle risorse, non dei movimenti “terroristi”, o delle “rivoluzioni arancioni”; “esportazione della democrazia”; “primavere arabe” e quant’altro la “scienza” del marketing ci regalerà in futuro.


[1] Istituto nazionale di Ricerca degli Stati Uniti

[2] Gianmarco Vassalli, Guerra Freddissima, Ambiente Energia, Leditore, 2012, pag. 59

[3] ibidem

[4] Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera, 3 luglio 2011

[5] Marco Maroni, Ghiaccio Bollente, Ambiente Energia, Leditore, 2012, pag. 55

[6] Rolling Stone Magazine, (http://tinyurl.com/88acu7h) 16 novembre 2011

[7] Redazione, Universy.it, (http://tinyurl.com/6q5wfeq) 19 giugno 2011

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