Le radici e la memoria

5 Novembre 2013
Redazione YOUng
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Durante le peregrinazioni nel mare dei ricordi, riaffiorano alla mente incontri con persone che mi hanno lasciato di sé una traccia più o meno vivida e significativa. Ciascuna di esse ha avuto un ruolo nella formazione della personalità, nella scoperta della vita, e mi piace immaginare che anche io abbia rappresentato per loro un sia pur fuggevole punto di riferimento. Poi ognuno ha imboccato una svolta diversa, ha cercato nuovi approdi e porti diversi, ma con la tenue speranza di rivedersi, un giorno, per raccontarsi gioie e dolori affrontati. La memoria degli uomini e delle donne, incrociati nei propri cammini, costituisce una compagnia preziosa nelle lunghe notti di veglia, mentre il vento sibila insidiosamente a bordo della nave.

il popolo che manca nuto revelli“Il popolo che manca” è il titolo di un’opera straordinaria scritta da Nuto Revelli per Einaudi, in cui vengono narrate le difficili esistenze di un’insieme di italiani che hanno conosciuto un Paese ben diverso da quello in cui attualmente ci troviamo, e di cui abbiamo il dovere di serbare il ricordo, perché non venga reciso il filo che ci lega loro.

Povera gente del Piemonte, contadini, pastori, piccoli artigiani, raccontano con linguaggio elementare, infarcito di termini dialettali, in modo semplice ed efficace, il loro difficile vissuto, attraverso le due guerre mondiali, il fascismo, il lavoro, l’emigrazione, la fame, la miseria, la fede e la superstizione.

La testimonianza diretta degli ultimi, degli estranei alla storia ufficiale, di quelli che non hanno il prestigio per meritare l’attenzione dei giornali, vittime degli stenti e della dimenticanza collettiva.

L’autore li ha voluti intervistare, lasciandoli parlare liberamente, finalmente invitati ad esprimere ciò che da tempo giaceva chiuso nei loro cuori, magari con l’aiuto di un bicchiere di vino.

Emergono allora i fantasmi di un passato ignoto a molti, in cui nelle case veniva conservata una catasta di assi di legno, per essere pronti a realizzare una cassa, nell’evenienza sempre prossima dell’arrivo della morte. I bimbi volavano in cielo facilmente, in un tempo in cui l’ospedale era un lusso e sulle ferite l’ignoranza e la povertà consigliavano di applicare le ragnatele.

Un popolo in lotta con i potenti, sempre alle prese con la penuria dell’essenziale, con fatiche che stremano, forzati del sacrificio, obbligati a dormire in ripari fatiscenti, ad inseguire animali che fuggono nella montagna, a svegliarsi nell’oscurità delle prime ore del mattino, d’inverno, per recarsi nei campi.

Il rifugio da tanta sofferenza era rappresentato spesso dall’ubriachezza nelle osterie, dal gioco di carte in cui venivano persi i magri risparmi a vantaggio di scaltri opportunisti, dalle botte inferte alle mogli, che subivano rassegnate la violenta sopraffazione, consapevoli di una fatalità quasi ineluttabile.

Riaffiorano anche i rari momenti lieti in cui, per lo più nelle stalle, ci si ritrovava la sera per condividere un poco di allegria, mentre le donne filavano ed i pochi che ne erano in grado narravano il contenuto di libri letti, conquistando l’attenzione dei bimbi.

Si rivivono le terribili paure della guerra, il male assoluto, le trincee e le baionette, lo strazio dei feriti abbandonati a se stessi, la grande mietitrice che portava via con sé intere generazioni, lasciando sui corpi e nelle anime dei sopravvissuti segni indelebili.

Vengono descritti i viaggi degli emigranti che, per vincere un destino avverso, si avventuravano diretti in Francia o, ancora più lontano, verso Argentina, Stati Uniti, luoghi misteriosi e inquietanti per coloro che non erano mai usciti dal proprio piccolo borgo. Era tale lo smarrimento di trovarsi in questi ambienti così diversi che i nostri connazionali, in Nordamerica, si attaccavano sul cappello il biglietto indicante la destinazione per consentire agli impiegati delle ferrovie di indicare loro la strada, senza la necessità di esprimersi in una lingua del tutto sconosciuta.

Assai tenero il capitolo dedicato ai matrimoni che venivano organizzati tra gli scapoli del Piemonte e le donne della Calabria, desiderose di sottrarsi alle ingrate fatiche nei campi del Sud ed alla povertà atavica, ma che dovevano fare i conti con la solitudine di un mondo molto differente per clima, abitudini, cibo.

Nei periodi più aspri aiutava la fede, il suono delle campane, i falò accesi alla Madonna, le litanie ed i rosari, ma quando la tempesta distruggeva i raccolti, la disperazione e la rabbia inducevano qualcuno a legare il Crocefisso ad un cordino ed a trascinarlo nei campi affinchè vedesse cosa era andato perso.

Non c’è rimpianto nelle parole di Revelli nei riguardi di una realtà così amara, ma la coscienza del dovere fondamentale di testimoniare queste storie, nonchè l’ammirazione nei confronti di piccoli eroi misconosciuti, figli di un’Italia coraggiosa e remota, le cui vicende devono servirci di guida in un presente molto più ricco di beni materiali ma bisognoso di buoni esempi.

…I gabbiani sorvolano eleganti ed osservano divertiti dall’alto il mio riprendere la rotta.

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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