Quello che non ti dicono sul giornalismo italiano: dalla depressione ai suicidi

9 Novembre 2013
Maria Melania Barone
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Un focus sui precari senza voce, quelli che usano la penna per un interesse sociale e ripagati solo da povertà, populismo e troppa retorica. Ecco una realtà che non conosci.

JournLa realtà del giornalismo è attorniata dalla troppa retorica sulla libertà di stampa, troppe fantasie popolari sul vero potere del giornalismo, sul populismo che ci vede inventare le notizie ignorando totalmente le leggi che regolano il nostro lavoro, ignorando quella realtà molto dura rispetto a quel che si racconta. C’è chi insegue i propri sogni e chi crede di non saper fare altro che il proprio mestiere. E se non hai un pò di elasticità per abituarti ad indossare molte vesti puoi persino rischiare il suicidio. Proprio il suicidio è toccato a qualche collega che ha vissuto il precariato per oltre 20 anni di carriera poco onorata. Ometto il nome, perchè il silenzio restituisce la dignità che gli è stata tolta in vita.

Dietro alla falsa crisi del settore pubblicitario, che vede una diminuzione degli inserzionisti solo del 2% e, soprattutto dinanzi alla lobby delle concessionarie che non ti trattano mai come dovrebbero, esiste la realtà del giornalista soffocato dal precariato. Un precariato dove finisci per adagiarti, per abituarti, per poi soffrirne quando il fisico non regge più di tanto. Il mondo del giornalismo è un mondo di fuoriclasse, di missionari che stringono la cinghia, circondati da editori che preferiscono non sacrificare i propri utili per incrementare quel già troppo esiguo pagamento che dia a tutti un minimo di dignità. Questo vale per le grosse realtà, per le piccole invece l’editore non può nemmeno concedersi il lusso di fare lo squalo poichè, tra truffe delle concessionarie e la presunta “crisi” del settore, diventa impossibile monetizzare il 100% del traffico e i contatori usati dai pubblicitari cominciano a conteggiare un pò di testa loro.

Un tempo i giornalisti bravi andavano all’estero a lavorare, lì almeno potevano chiudere accordi vantaggiosi, oggi invece tutto è sul digitale e gli accordi lavorativi si fanno a casa propria. Così m’imbatto in un annuncio di una importantissima testata in lingua inglese, una di quelle che leggo spesso per informarmi in modo asettico e puntuale sulla politica estera e scopro che richiede ben 4 articoli al giorno superiori alle 2500 battute in lingua inglese che verranno remunerati 5 euro al pezzo per un massimo di 400 euro mensili. Il target dei potenziali collaboratori però è elevato. Sono ammessi alle selezioni solo coloro che hanno lavorato per BBC, CNN, Telegraph, Daily Mail et similia… E poi dopo si spiega: “Ti sembrano pochi 400 euro mensili? Non lo sono se pensi che non hai spese di benzina”. Insomma, oggi il traguardo sono quei 400 euro. Gli editori proseguono: “I collaboratori a tempo indeterminato che lavorano in modo fisso sulla nostra testata percepiscono uno stipendio pari a 1000 euro mensili”.
Ci rifletto e penso: “Ecco, non solo l’Italia, anche all’estero hanno capito come fare per tagliare i costi delle risorse umane”. Per un attimo mi pento di questo pensieri, sono stata per un attimo populista come quelli che costruiscono la propria immagine facendo la solita “retorica del precariato”. Così mi fermo, osservo la testata: non ha video, ha solo articoli scritti ad arte, fonti di ogni genere, ore e ore di lavoro per ogni pezzo. Molti refusi per la troppa fretta, saranno sicuramente in pochi a scriverci. Niente pubblicità all’infuori di Google… Forse non hanno trovato di meglio. E’ l’identikit perfettamente corrispondente a quello di un giornale che vive stringendo la cinghia, uno di quelli che conosce la truffa delle concessionarie, che effettivamente non ha modo di incassare di più. Il vero problema dell’editoria è, ancora una volta, la mafia che c’è dietro.

Ma il mondo del giornalismo è anche ricco di accordi fuori programma: c’è chi lavora per tante testate e di nascosto pur di riuscire a sbarcare il lunario. Chi pubblica con pseudonimi per non farsi sgamare, chi invece fa l’ufficio stampa per mettere il piatto a tavola, chi vive di invidie e non conclude mai niente, chi guarda sempre nel piatto dell’altro. Poi ci sono anche esempi più infelici come quei giornalisti che pretendono mazzette ricattando le fonti. Anche qui ometto nomi e fatti, per non rendere troppo amaro un quadro che è già drammatico. Mi limito a citare e riportare il prezioso articolo di Matteo Cavezzali su Il Fatto Quotidiano che racconta la storia dei suoi colleghi, quei bravissimi giornalisti che hanno lasciato la penna e la tastiera, la telecamera e la macchina fotografica per fare i rappresentanti di carta igienica o i baristi addetti ai cocktail. Una situazione talmente drammatica, che è meglio berci sopra… Anche perchè il giornalista usa la propria voce per gli altri, ma raramente la sfrutta per se stesso. Nel giornalismo se vuoi lavorare devi tacere e andare avanti, come un missionario, come un uomo invisibile. Perchè tutto ciò che è visibile spesso è solo propaganda.

Ho visto i giornalisti migliori della mia generazione mandare a quel paese i giornali.

È una cosa che so da qualche anno, forse, ma non ci avevo mai pensato davvero, fino a ieri. Quando ho ordinato un moscow mule con la cannuccia verde in un pub dove non vado mai e ho riconosciuto un volto familiare. Guardavo la barista che mi passava il bicchiere con quella cannuccia verde fosforescente piantata in mezzo ai cubetti di ghiaccio. Quel viso sottile, quella frangia nera. La conoscevo, ma non mi veniva in mente dove l’avevo già vista. Provavo quella strana sensazione che si ha quando incontri qualcuno che vedi sempre, magari perché fa la cassiera alla Coop dove fai la spesa ogni settimana, ma che quando la rivedi per strada non riesci a metterla a fuoco.

Dove mi aveva già fatto un cocktail questa barista? Pensavo. Allora prendo coraggio: «Scusa, ci conosciamo?» Le faccio. «Sono Francesca, non mi hai riconosciuta?» risponde. No, non l’avevo riconosciuta. Non ero nemmeno vicino alla soluzione. «Francesca? Ma che ci fai qui?» mi venne spontaneo dire. Francesca era l’inviata di un quotidiano che incontravo sempre alle conferenze stampa. Spesso ci confrontavamo su articoli o retroscena. Era da un po’ che non la vedevo. «Ho mollato il giornale, erano indietro di tre mesi con lo stipendio e non riuscivo più a pagare all’affitto. Ora lavoro qui come barista, guadagno di più e se ti devo dire la verità mi dà anche più soddisfazione».

Tornando a casa dopo un altro paio di cocktail mi sono messo a pensare a Francesca. Era unagiornalista che stimavo molto, che aveva fiuto per le notizie e talento nello scrivere. Non avrei mai più letto un suo articolo. Mi venne un po’ nostalgia.

Mentre pensavo a Francesca mi è venuta in mente Daniela. Lei lavorava per una agenzia stampa, aveva saputo trovare eclatanti scoop facendo imbarazzare giornalisti di lunga esperienza, che quelle notizie non le avevano sapute trovare, o non avevano avuto il coraggio di raccontarle. Prendeva 500 euro al mese e copriva per l’agenzia tre città. Anche Daniela ha mollato, si è trasferita. Non so che lavoro faccia oggi, ma sicuramente non più la giornalista. Le era venuta la nausea di quel mondo.

Pensando a Daniela mi è venuto in mente Peppe, il miglior video reporter che ho conosciuto, uno che andava a fare le riprese di sua spontanea iniziativa in mezzo ai campi profughi e aveva fatto tremare diverse personalità con interviste pungenti. Dopo un anno che lavorava per una tv locale ha scoperto che il contratto che aveva firmato non era nemmeno stato depositato all’ufficio del lavoro e stava lavorando in nero senza saperlo. Peppe oggi fa il rappresentante di carta igienica. Guadagna bene e ogni tanto, quando usciamo a prenderci una birra assieme, fa anche credere che non sia poi così male, che in fondo c’è gente interessante tra quelli che comprano stock di carta igienica per gli alberghi di lusso. Anche se so che in fondo è amareggiato per aver dovuto rinunciare al suo sogno e dice così solo per non rovinare il clima della serata.

Pensando a Peppe mi è venuto in mente Luca, giornalista professionista che nonostante la scuola di giornalismo, nonostante un tirocinio all’Ansa a Washington, nonostante uno stile di scrittura arguto e brillante non ha trovato spazio in nessuna testata. Luca lavora come precario per un ente di credito. Pochi giorni fa gli è arrivata una lettera in carta intestata dall’ordine dei giornalisti. All’inizio deve aver pensato a una buona notizia, magari una segnalazione. Era una procedura disciplinare. Era in ritardo con il pagamento del cedolino di rinnovo di iscrizione all’albo. Oltre al danno la beffa.

Pensando a Luca mi sono venuto in mente io. Allora sono tornato indietro al pub da Francesca ed ho ordinato un altro moscow mule. Prima di berlo però ho guardato bene come lo preparava… non si sa mai, potrebbe sempre tornare utile saper fare un buon moscow mule.

L'AUTORE
Giornalista pubblicista nasce a nel cuore di Napoli ma vive in molte città italiane, dopo aver compiuto studi umanistici si interessa al mondo editoriale con particolare attenzione alla politica, ambiente e geopolitica.
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