Religioni, conflitti, diritti

23 Novembre 2013
Redazione YOUng
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In un mondo sempre più multietnico e multireligioso – dove le diverse culture si intrecciano e troppo spesso si scontrano fra di loro – la conoscenza dei fenomeni religiosi è importante perché aiuta a costruire la via del dialogo, della comprensione reciproca e del rispetto tra le culture e le fedi religiose.

Negli ultimi anni, la religione ha riacquistato una maggiore centralità nello studio delle relazioni internazionali. In particolare, gli aspetti presi in considerazione dagli analisti di politica internazionale riguardano la relazione esistente tra la crescente instabilità internazionale e il nuovo ruolo politico delle religioni. Le manifestazioni più evidenti di tale instabilità si potrebbero individuare nel legame tra terrorismo e fondamentalismo religioso, considerando la religione come forza al centro dello scontro tra le civiltà. A tal proposito, emblematiche le vicende israelo-palestinesi e il ruolo del terrorismo islamico come evidenze dell’influenza delle religioni nelle relazioni tra comunità e tra Stati.

Un’analisi condotta da Scott Atran e Ginges Jeremy, rispettivamente del CNRS-Institut Jean Nicod di Parigi e della New School for Social Research di New York, sul peso del fattore “religione” nella genesi e nello sviluppo dei conflitti rivela che le questioni esplicitamente religiose hanno motivato solo una minoranza delle guerre e dei conflitti interni registrati, ma che spesso a questioni secolari che potrebbero essere risolte pacificamente o razionalmente viene sovrapposto un quadro religioso che rende non negoziabili le posizioni in gioco. Se infatti la religione può favorire la fiducia del “noi” (ingroup), può anche aumentare la sfiducia negli “altri” (outgroup). Attraverso la religione, in situazioni di tensione, preferenze sociopolitiche altrimenti “banali” possono diventare valori sacri, che operano come imperativi morali, non lasciando spazio così alla trattativa. Ma è anche vero che il processo di “sacralizzazione” dei valori può interessare questioni ben lontane dalla religione.

Modern Distribution of World ReligionsLa carta odierna dell’Europa è una mappa degli insediamenti delle religioni, dei “luoghi di memoria”, degli spazi di sacralità e di identità che esse hanno costruito nel corso dei secoli. I tre monoteismi – tutte le confessioni cristiane (cattolica, riformate delle varie denominazioni, ortodosse dei diversi riti), l’ebraismo e l’Islam – si sono originati entro il bacino del Mediterraneo. Dalla fine degli anni ’60 alla fine degli anni ’90, un conflitto è stato al centro dell’attenzione dei media internazionali proprio perché si svolgeva in un paese europeo durante un periodo nel quale il concetto di guerra sembrava ormai lontano dall’essere accostato al nostro continente. Si tratta del conflitto in Irlanda del Nord, ancora oggi indicato come uno scontro tra protestanti e cattolici. Visitare i sobborghi di Belfast, tra fili spinati, bandiere e murales identitari, significa assistere a un passato che irrompe nella quotidianità e testimonia la separazione, ancora profonda, tra la comunità repubblicana (popolazione cattolica che desidera il ricongiungimento dell’Irlanda del Nord alla Repubblica d’Irlanda) e quella lealista (popolazione in maggioranza di origine britannica che vuole che la regione dell’Ulster rimanga sotto la sovranità della Gran Bretagna)[1]. Nel corso degli anni, i tentativi di riconciliazione non hanno completamente eliminato la situazione di tensione esistente pur contenendone le manifestazioni più violente.

Riguardo ai numeri relativi alle principali religioni esistenti, i cristiani rappresentano la maggioranza nel mondo: sono circa 2,4 miliardi, di cui la metà di essi cattolici; seguiti dai musulmani, circa 1,5 miliardi di cui la maggioranza appartenenti alla corrente sunnita. Gli induisti equivalgono ad 1 miliardo mentre i buddisti sono circa 576 milioni. I seguaci di diverse religioni popolari, di culti animistici africani, asiatici, dei nativi americani e degli aborigeni australiani rappresentano il 5,9% della popolazione mondiale, pari a 400 milioni. Le altre religioni (taoismo, shintoismo, sikismo, giainismo, ecc.) corrispondono allo 0,8%, vale a dire 58 milioni; gli ebrei equivalgono solo allo 0,2% (15 milioni maggiormente presenti negli Stati Uniti e in Israele). Ci sono inoltre correnti di origine più recente (circa ventisei culti diffusesi durante il XIX secolo) con oltre 3 milioni di fedeli tra cui la nota Scientology che ha avuto origine nel 1953, con circa 500.000 credenti. Infine vi sono i non credenti (i secolari, gli irreligiosi, gli agnostici e gli atei) che sono all’incirca 1,1 miliardi.

Secondo uno studio pubblicato il 28 giugno 2013 dal Center for the Study of Global Christianity di South Hamilton (Massachusetts) – che offre tutta una serie di statistiche aggiornate al 2013 e una proiezione fino al 2020 – l’Europa sta diventando meno religiosa, meno cristiana e meno cattolica, mentre nei paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa e Asia aumenta il numero di credenti. Secondo questo rapporto – Il Cristianesimo nel suo contesto globale,1970-2020 – il mondo non sta diventando solo più cristiano ma anche più musulmano. Nel 1970 cristiani e musulmani, presi nel loro insieme, rappresentavano il 48% della popolazione mondiale; nel 2020 saranno il 57,2%. I cristiani saliranno nel 2020 al 33,3% e i musulmani al 23,9%. Un abitante del pianeta su tre sarà cristiano e quasi uno su quattro musulmano.

I sondaggi del Win Gallup International[2](il più grande network mondiale di istituti di ricerca indipendenti) in 114 paesi mostrano che la religione continua a svolgere un ruolo importante nella vita di molte persone in tutto il mondo e sottolineano la forte relazione esistente tra lo status socioeconomico di un paese e la religiosità dei suoi abitanti. I paesi più ricchi e sviluppati sono meno religiosi (questo non vale per gli Stati Uniti)[3]. La religione calma il disagio (distress) e quindi funziona come “la coperta di sicurezza da cui il bambino trae conforto quando sconvolto”; ciò riflette la forte correlazione tra religiosità e povertà. Il conforto dato dalla religione è maggiore nei luoghi più miseri del pianeta dove la vita è dura, l’aspettativa di vita è breve e la vita può essere cancellata in qualsiasi momento da disastri naturali, malattie infettive, crimini e violazioni dei diritti umani, guerra e fame.

I paesi africani sono infatti i paesi più religiosi. A seguire Armenia, Macedonia, Romania, Iraq e Sudamerica. In molti Stati africani convivono musulmani e cristiani. I rapporti tra le due religioni variano da uno Stato all’altro, andando da una pacifica convivenza a scontri e tensioni. I problemi maggiori si riscontrano nei paesi che hanno adottato l’islamismo come religione ufficiale e la sharia come legge dello Stato perché in questi casi le attività delle Chiese cristiane sono estremamente limitate. Un fenomeno pericoloso è rappresentato dalle infiltrazioni di estremisti islamici finanziati da Stati come l’Arabia Saudita e l’Iran che snaturano spesso la natura tollerante dell’Islam. La Nigeria, ad esempio, è spaccata a metà (il 52% dai suoi abitanti è musulmano, il 46% cristiano) ed è interessata da diversi scontri di natura etnico-religiosa.

In Europa, invece, sempre meno persone si considerano credenti. L’Irlanda, colpita dagli abusi su minori e dalle coperture dei pedofili nella Chiesa cattolica, è diventata uno dei paesi dove la fede religiosa non occupa più una posizione centrale[4]. Proprio nell’Isola verde si è riscontrata la variazione più significativa in campo spirituale: il tasso di religiosità si è abbassato dal 69 al 47% e un irlandese su dieci ormai dichiara di non essere religioso. Tale tendenza sembra essere confermata dalla recente approvazione in Parlamento della Protection of Life during Pregnancy Bill 2013 che dovrebbe chiarire a medici e a pazienti quando sia permesso procedere con un aborto e che introduce per la prima volta la possibilità di abortire in Irlanda[5]. L’incertezza sulla legalità dell’aborto in caso di pericolo di vita per la madre sarebbe stata la causa della morte di una giovane donna indiana, Savita Halappanavar, nell’autunno del 2012 a Galway. Altro passaggio storico è il referendum popolare per decidere se le coppie omosessuali potranno o meno sposarsi, previsto per il 2015. L’annuncio del referendum è arrivato dopo che nel 2011 era già stata introdotta l’unione civile per le coppie gay. Da quel momento ad oggi, sono più di 1.500 le coppie omosessuali che si sono unite con la cosiddetta civil partnership. Fino a 20 anni fa in Irlanda l’omosessualità era ancora considerata un reato.

Per concludere, vorrei ricordare che il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione è sancito dall’art.18 della Dichiarazione Universale dei Diritti del’Uomo[6]. Il 24 marzo 2011 il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha adottato un’importante Risoluzione che rappresenta un primo passo importante verso l’eliminazione del concetto di “diffamazione delle religioni[7]. La risoluzione adottata mira a «combattere l’intolleranza, gli stereotipi negativi, la stigmatizzazione, la discriminazione, l’incitamento alla violenza e la violenza contro persone sulla base del credo religioso». Non più le religioni, ma finalmente si tutelano le persone. La risoluzione riafferma il diritto di libertà religiosa e di credo e condanna ogni campagna d’odio religioso e riconosce che il dibattito pubblico di idee differenti può essere uno dei sistemi di protezione migliori contro le intolleranze religiose. Non è possibile dimenticare che le leggi contro la blasfemia nel mondo sono ancora oggi uno strumento di persecuzione e durante i dibattiti in Consiglio su questa risoluzione molte delegazioni hanno fatto riferimento agli assassini in Pakistan del governatore Salmaan Taseer e del ministro Shahbaz Bhatti, entrambi impegnati a favore delle minoranze in questo paese e contro la legge sulla blasfemia. Altro caso simbolo quello della giornalista afgana Mohageg Nassab, che è stata condannata a morte “per aver insultato l’Islam” dopo che il suo quotidiano “Women’s Rights” aveva lanciato un appello contro la lapidazione delle donne[8].


[1] Il conflitto in Ulster ha fatto più di 3.700 vittime e circa 30.000 feriti, su una popolazione totale di circa 1.500.000 di abitanti. Queste cifre fanno capire di quale tragedia si stia parlando; spesso quello in Irlanda del Nord veniva definito un “conflitto a bassa intensità”, per il fatto che non si trattava in realtà di una guerra dagli schemi classici ove vi erano due eserciti schierati che si fronteggiavano, ma piuttosto un’infinita scia di atti di violenza, spesso settaria, che hanno profondamente alterato questi luoghi nella loro geografia e nel loro aspetto. Il 28 luglio 2005 l’IRA, l’organizzazione cattolica del nord dell’Irlanda che rivendica l’indipendenza dal Regno Unito anglicano, dopo decenni di violenza ha ordinato di cessare la lotta armata; da quel momento per realizzare l’unità d’Irlanda userà mezzi esclusivamente pacifici. Solo una cellula dissidente, che si definisce Vera IRA, continua a progettare ed eseguire attentati sul suolo inglese.

[2] Dati pubblicati dal Global Index of Religiosity and Atheism. Ricerca condotta dal WIN-Gallup International, 2012.

[3] Tra i paesi a alto reddito anche l’Italia è tra i pochi propensi a dare importanza alla fede religiosa. Più precisamente in Italia crescono sia il numero dei fedeli sia quello degli atei: il 73% degli abitanti si definisce credente, mentre solo l’8% dichiara il proprio ateismo.

[4] La classifica dei paesi meno religiosi è guidata dalla Cina. In Vietnam si definiscono religiose solo tre persone su dieci. Seguono Giappone, Repubblica Ceca, Corea del Sud, Francia, Germania, Olanda e Austria.

[5] La legge prevede la possibilità dell’aborto nei casi in cui la vita della madre sia rischio e include il suicidio fra i casi a rischio. Non è previsto l’aborto nei casi di violenza, incesto o nei casi di malformazione del feto.

[6] «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti».

[7] Questo controverso concetto era stato promosso per anni, mediante le strutture delle Nazioni Unite dall’Organizzazione degli Stati Islamici (OIC). Obiettivo specifico era la difesa dalla diffamazione dell’Islam, tema molto sentito dalla comunità musulmana soprattutto, a causa dell’islamofobia scatenata dagli attentati dell’11 settembre 2001. In seguito, la difesa della diffamazione fu ripresentata dall’OIC come generica “diffamazione delle religioni” arrivandone all’approvazione con la risoluzione Onu sulla diffamazione religiosa del 25 marzo 2010. La cosa grave è che secondo i critici questa risoluzione ha avuto l’effetto di fornire legittimità internazionale a tutte quelle leggi nazionali che puniscono la blasfemia o che bandiscono la critica alla religione.

[8] La persecuzione religiosa non è una componente presente solo negli Stati musulmani di fede islamica, ma anche negli Stati dell’Asia dove il buddismo rappresenta la maggioranza e le minoranze cristiane e musulmane vengono perseguitate. Per non parlare delle persecuzioni nel corso della storia da parte dei cristiani e dei cattolici verso gli infedeli o appartenenti ad altre religioni e verso gli scienziati che con le loro teorie minacciavano i dogmi religiosi.

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