La discriminazione delle ragazze italiane nello sport

4 Dicembre 2013
Redazione YOUng
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La terribile alluvione Cleopatra delle scorse settimane si è portata via tutto. Ha spezzato anche giovani vite, ha tolto agli abitanti delle città colpite anni di sacrifici per costruirsi una casa. Ma non si è portata via il sessismo che non si è fermato nemmeno quando di mezzo ci sono scopi benefici. Non è accaduto in uno di quei paesi dove le donne vengono discriminate ed escluse negli sport ma in Italia.

La discarica in zona Isticaneddu a Olbia dove gli abitati stanno riversando materiale danneggiato proveniente dalle loro case allagate dal fango, 22 novembre 2013.  ANSA/CIRO FUSCO

La discarica in zona Isticaneddu a Olbia dove gli abitati stanno riversando materiale danneggiato proveniente dalle loro case allagate dal fango, 22 novembre 2013.
ANSA/CIRO FUSCO

Si trattava di organizzare una partita di calcio per raccogliere fondi  a favore degli alluvionati sardi che prevedeva l’ingresso in campo delle campionesse d’Italia della Torres nel confronto fra Torres maschile e Olbia. Ma a causa di un divieto, le giocatrici sono state escluse, impedendole di giocare. Un regolamento  parla chiaro: Vietato far giocare uomini e donne assieme nelle attività sportive, anche quando si tratta di una partita di beneficenza.

Benché fosse un’amichevole e per lo più organizzata per uno scopo benefico (che aveva addirittura fatto mettere da parte la rivalità calcistica tra sassaresi e olbiesi) Torres-Olbia era una gara ufficiale e dunque la Lega Pro ha chiesto di rispettare il regolamento: uomini e donne non possono giocare insieme.

E’  gravissimo non solo perché è stato negato il contributo delle donne in una manifestazione benefica ma perché si tratta di una discriminazione di genere gravissima. Una cosa ingiustificata. Ma di cosa aveva paura la Lega-Pro? che i calciatori perdessero la loro virilità giocando con le “femminucce”? che le femmine si facessero male?

Leonardo Marras, coordinatore nazionale del neo dipartimento del Calcio femminile ha lanciato un appello al presidente del Coni, Giovanni Malagò, e a quello della Federcalcio, Giancarlo Abete: 

Chiedo a entrambi che valutino serenamente l’episodio affinché fatti discriminanti, aldilà dei regolamenti, non si verifichino più, specialmente in occasioni speciali come questa. E’ proprio un paese per maschi. In un momento in cui si alzano bandiere in nome dell’integrazione tra razze e sessi e si combatte la violenza sulle donne, in Sardegna si è persa l’occasione per lanciare un messaggio positivo a tutto il mondo dello sport e all’intera società

Già, perché non si può combattere la violenza sulle donne se uomini e donne non possono stare assieme. Se avvengono ancora queste segregazioni di genere. Se le donne vengono viste come esseri inferiori. Gli uomini così non impareranno mai a percepire le donne come pari ma solo come sorelle, madri e mogli o veline.

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In Italia come è ben saputo, anche dall’ennesima pessima posizione che abbiamo occupato quest’anno nel Global Gender Gap, le donne continuano ad essere relegate a pochi ruoli marginali, complice (anzi artefice) una cultura sessista che percepisce la donna in una posizione subalterna. A causa di ciò l’Italia ha sprecato milioni di talenti femminili.

La Sardegna non è un caso particolare. Considerata erroneamente una terra matriarcale è diventata perfino la prima regione per tasso in percentuale di violenza contro le donne. Qui (come altrove nel nostro Paese) è proprio un fatto culturale.

Se non lo fosse avremmo visto il Coni o la Federcalcio “scomodarsi” per questa nazionale-italiana-femminile-di-pallanuotodiscriminazione; avremmo visto il Governo citare il caso. Avremmo avuto un ministro per le Pari Opportunità occuparsi di discriminazioni sessuali di questo tipo che nel nostro Paese sono tantissime. Avremmo visto il Governo anche impegnarsi contro le discriminazioni che avvengono contro le donne negli sport, anche quando non devono giocare con i maschi.Avremmo visto il Governo impegnarsi ad abbattere la situazione dei circoli sportivi italiani, molti dei quali vietati esplicitamente alle donne.

Sport e donne in questo Paese sono un binomio inconciliabile. Secondo le cifre fornite dall’UISP , che indicano gli italiani tra i più inattivi nello sport, viene sottolineato che le donne  sono ancor meno incoraggiate a partecipare ad attività sportive. Infatti, il numero di donne che pratica sport è nettamente inferiore a quello maschile.

sport_italia_volley_femminile_world_cup_2011_sito_fivb_bisLa discriminazione è documentata dall’U.E., che, nel 2010, ha pubblicato i seguenti dati: il 43% degli uomini europei pratica sport, mentre le donne sono il 37%; coloro che non praticano sport sono il 49% tra gli uomini, percentuale che sale al 57% per le donne. Nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni, i ragazzi che praticano sport con regolarità sono il 19%, le ragazze sono appena l’8%. Dati preoccupanti che hanno spinto le organizzazioni sportive di base a sollecitare l’Unione Europea ai fini di avviare politiche sportive per favorire la pratica dello sport tra le donne.

Donne ancora “angeli del focolare? Per i bambini gli atleti, sopratutto i calciatori, rappresentano uno dei tanti eroi o comunque modelli a cui ispirarsi grazie alla grande attenzione mediatica a loro dedicata. Per questo motivo risultano più invogliati a fare sport. Ma vengono invogliati anche dai genitori che a causa di stereotipi di genere (non solo alimentati dai media) si preoccupano di meno a far partecipare i propri figli ad attività sportive-sopratutto di squadra-in quanto erroneamente li ritengono più capaci o a causa di un differente trattamento che gli viene riservato rispetto alle bambine. Sulle sport_focus_image03c726774659daef5c53f46c4a6e745dproprie figlie, i genitori si preoccupano che possano fare sport “troppo pericolosi” o che “sminuiscano la femminilità” a causa di pregiudizi che ritengono le femmine più deboli e più gentili o per l’importanza data all’aspetto estetico (infatti l’abbandono delle attività sportive da parte delle bambine cresce in età adolescenziale) o perché ritenute più portate per attività sedentarie (come lo studio).

Questo è uno dei motivi perché le studentesse italiane eccellono negli studi rispetto ai maschi o comunque hanno titoli di studio maggiori spesso anche incoraggiate rispetto ai propri fratelli. Ma nello sport non si può dire che le ragazze siano più “negate” come vogliono gli stereotipi di genere, sono soltanto meno numerose o meglio invisibili e ancora tanto, troppo discriminate.

Secondo l’Uisp (Unione italiana sport per tutti) quello che manca è il coinvolgimento attivo – soprattutto a livello istituzionale – e il riconoscimento del ruolo delle donne nello sport. Ma a scoraggiare le donne nello sport è anche la scarsa rappresentanza mediatica che hanno le atlete. Ben il 78% dei notiziari sportivi parla di atleti maschili, che, nella maggior parte dei casi sono calciatori. Le atlete, invece, passano in secondo piano, privilegiando gli sport individuali a quelli di squadra, proprio dove le donne vengono più discriminate. Inoltre, quando si parla di atlete i media si concentrano più sulla propria avvenenza o sulla propria vita privata più che per il proprio talento.

07_03_10_GiroDonne_02_Stage2_142Ma non sono solo le protagoniste sportive a scarseggiare nelle news sportive; anche il numero delle giornaliste che si occupano di sport, infatti, è molto basso. Allo stesso tempo, anche i presidenti e dirigenti di federazioni sportive sono tutti uomini. Ancora più grave è la rappresentazione delle donne all’interno delle gare sportive che hanno meno visibilità mediatica degli atleti maschi e dove spesso vengono relegate a figure ornamentali per attrarre il pubblico: come le cheerleaders, le conigliette, le ombrelline eccetera e anche della rappresentazione delle sportive nelle pubblicità e gli interventi delle associazioni sportive per rendere l’abbigliamento delle atlete più “appetibile” (Qui la proposta della FIBA).  Rappresentanze e rappresentazioni che danno allo sport una connotazione ancora più maschile, come se il target tifoso fosse composto da soli uomini e inoltre dando un messaggio ancora più pregiudiziale che inibisce l’accettazione della partecipazione attiva delle donne.

Per quanto riguarda la tifoseria, c’è poca attenzione mediatica verso le tifose di sesso femminile. Il numero delle tifose è però più esiguo. Già da bambine c’è uno scarso incoraggiamento ad appassionare le femmine nelle manifestazioni sportive. Se le ragazze fossero incoraggiate ad amare lo sport sia maschile che femminile, anche le atlete donne avrebbero una fetta di target di tifose maggiore. Inoltre, anche i maschi dovrebbero essere educati a non tifare solo gli atleti maschi.

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Stefania Bianchini

Retaggi dal passato. Prossimo. L’ingresso alle Olimpiadi per le italiane è “recente”, sopratutto a causa dell’idea della donna come angelo del focolare e a causa delle rigide norme sull’abbigliamento. Essendo impossibile usare un abbigliamento meno “castigato” a causa dei forti tabù sul corpo femminile ed essendo impossibile anche praticare con gli abiti imposti che limitavano i movimenti del corpo, veniva così impedito alle donne di partecipare ad ogni sport. Malgrado le Olimpiadi risalissero già dall’antica Grecia, l’ammissione delle donne alle Olimpiadi risale infatti ai primi del Novecento ma unicamente nelle gare di golf e tennis. Solamente nel 1921 si tennero a Montecarlo i primi giochi mondiali femminili.

Il calcio femminile è ancora più recente. Solo nel 1930 viene fondato il Gruppo Femminile Calcistico. Le calciatrici italiane giocavano però indossando lunghe gonne. Successivamente, nel 1968 a Viareggio, nasce la Federazione Italiana Calcio Femminile.

Le atlete considerate dilettanti “per legge”. Su 60 solo 6 discipline sportive sono qualificate come professionistiche, ovvero calcio, pallacanestro, golf, pugilato, motociclismo, ciclismo e nessuna prevede un settore professionistico per le atlete.

World-League-PallanuotoSi tratta della Legge 91/81 “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” che non è praticamente accessibile alle donne perché molte delle loro attività non sono citate come professionistiche.  Molte atlete sono considerate sportive dilettanti (anche se campionesse olimpioniche) e non hanno accesso alla già citata legge n. 91 del 1981 e alla tutela statuita “in generale” per il mondo dei professionisti.
Di fatto la retribuzione prevista è  molto inferiore a quella dei colleghi maschi sia negli sport che al maschile possono essere considerati sport di massa sia in quelli minori; infatti in Italia il compenso delle calciatrici, anche quelle al top, non è molto distante da quello di un impiegato, negli altri paesi Europei, invece, in sostanza, si può equiparare a quello di un calciatore di medio valore.

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Sara Errani

Problema economico o culturale? Di fatto i fondi stanziati per sostenere sono veramente esigui. Negli altri paesi europei, invece,come l’Inghilterra, si stanno facendo grandi sforzi per ottenere maggiori investimenti economici nel settore al fine di sostenere e promuovere il calcio femminile, fin dalla più tenera età, cercando di coinvolgere sia i bambini che le bambine in età scolare, sia le strutture scolastiche, sia gli organi competenti. La stessa cosa avviene in Svezia ove le ragazze che praticano il calcio sono moltissime rispetto agli altri paesi.

Non si dimentichi poi l’aspetto  della tutela assicurativa contro i rischi e quella sanitaria assolutamente non paragonabili a quelle dei colleghi maschi. Per non parlare delle sportive in maternità che subiscono ripercussioni gravissime come l’impossibilità di tutela e di continuare l’attività sportiva dopo la gravidanza. Queste ultime infatti essendo considerate dilettanti, in caso di gravidanza, possono subire la risoluzione del contratto di prestazione sportiva per inadempimento dell’atleta. Perciò essere madre non appare essere un diritto, ma un privilegio.Stesso trattamento, non a caso, riservato alle altre lavoratrici italiane.

Nell’ordinamento sportivo italiano esistono molte discriminazioni, prevedendosi premi  ridotti fino al 50%, per i campionati femminili, rispetto a quelli maschili, a livello nazionale, europeo e mondiale. Tale riduzione vale anche per le borse di studio e gli investimenti da parte degli sponsor (sul punto si richiama la recente indagine effettuata da SWG sul tema Le donne, lo sport e le sportive, promossa dalla Regione Lazio, Assessorato alla Cultura, Spettacolo e Sport, Roma (25 novembre 2008).
Il documento prosegue sollecitando gli Stati membri a promuovere una copertura mediatica delle attività sportive femminili per consentire la proposta di personalità di riferimento femminili e il superamento di stereotipi di genere, nonché ad offrire opportunità di carriera alle donne in settori legati al mondo dello sport, anche in funzioni decisionali.

Valentina Vignali la giocatrice di basket più sexy d'Italia

Valentina Vignali la giocatrice di basket più sexy d’Italia

Recentemente ci sono state delle polemiche perché la già citata FIBA ha proposto di introdurre alcune norme limitanti e discriminanti per le donne: 1) abbassare il canestro, 2) trasformare le partite in un tre-contro-tre in una sola metacampo, 3) rendere le divise più femminili e sexy. Questo per attrarre il tifoso maschio, rendendo di fatto la donna come un’incapace che pratica un’attività sportiva solo per attrarre sessualmente il maschio e in primo piano i media. Così mentre alcuni Paesi impediscono alle donne di partecipare alle olimpiadi o di indossare divise comode, le donne occidentali devono vedersela con discriminazioni opposte: la sessualizzazione e dunque la ridicolizzazione e la messa in secondo piano del proprio talento.

Come sottolineavo è anche sopratutto un problema “mediatico” che influisce sugli introiti e sul riconoscimento delle discipline sportive delle donne.  In Italia, di fatto, l’interesse dei mass-media per lo sport al femminile è molto esiguo o meglio quasi totalmente assente; infatti, anche gli eventi più rilevanti a livello Europeo o Mondiale non vengono trasmessi e la carta stampata non dedica lo stesso spazio alle notizie relative al calcio femminile come a quello maschile.

Problema culturale: i pregiudizi. Ancora oggi in Italia resiste, anche incoraggiato dai media, lo stereotipo secondo il quale lo sport non è roba per donne. Inoltre le donne continuano ad essere associate a tempi più “femminili” come la moda, la maternità e la bellezza. Ancora oggi c’è gente che ritiene che ci siano “sport femminili” e “sport maschili” contribuendo ad alimentare pregiudizi che escludono e discriminano le  ragazze che vogliono avvicinarsi allo sport.

Per una bambina o ragazza che nasce in Italia e che sogna di diventare una sportiva intercorrere in una serie di discriminazioni tra cui quelle elencate è la norma. In Italia esistono dei pregiudizi che impediscono anche di affrontare il problema. Anzi, si preferisce volgere lo sguardo altrove e guardare a quei paesi dove alle donne è negato l’accesso allo sport. Ma siamo sicure che l’invisibilità e le discriminazioni a cui vengono sottoposte donne italiane non siano più o meno la stessa cosa?

Qui le donne sono visibili solo per questione di “immagine” mentre le italiane, malgrado le discriminazioni, hanno dimostrato più volte di essere tenaci e vincenti, anche a livello internazionale. Un paese che invece di essere orgoglioso delle proprie atlete le discrimina.

di Mary, ribloggato da comunicazionedigenere.wordpress

L'AUTORE
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