A Natale siamo tutti più buoni(sti)

28 Dicembre 2013
Redazione YOUng
Per leggere questo articolo ti servono: 2minuti

Ricordate la vicenda di Lucia e Carmela Petrucci?

Uno dei tanti femminicidi passati, così tanti che si dimenticano, così tanti che si confondono.

samuele-caruso-165x213Samuele Caruso, dopo essere stato lasciato da Lucia e averla perseguitata con messaggi di minacce, tende un agguato alla ragazza nell’androne del palazzo dove lei vive, con un coltello. Carmela, la sorellina, si mette in mezzo per difendere Lucia e muore sgozzata dall’assassino, sotto gli occhi di Lucia, anch’ella gravemente ferita.

Il prossimo mese ci sarà la prima sentenza e ai giornali piace ricordare queste orribili storie. Ma, visto che è Natale, occorre essere tutti quanti più buoni e, mentre l’ammmmore è nell’aria, si cerca di dimenticare il consumismo invitando alla preghiera e alla comprensione.

In uno sconcertante articolo, pieno di lirismo, si punta il dito verso tutti coloro che “negano il diritto alla compassione” ai genitori di Samuele Caruso.

Mentre sulla ragazza accoltellata e sopravvissuta non si manca di dare il giudizio estetico “bellissima”, aggettivo che dona una pennellata di “colore” da melodramma (come se ce ne fosse bisogno, visto il tenore dell’articolo!), si continua il pezzo parlando dell’enorme dolore dei genitori dell’assassino (meno male che ad un certo punto si ricorda che lui per lo meno una vita ce l’ha ancora e che dunque i due dolori – quello dei genitori Petrucci e quello dei genitori Caruso – è diverso, un’inquietante classifica del dolore) e della loro triste storia.

Il pezzo si conclude con l’invito al ricordo e alla preghiera per i due genitori di Samuele Caruso, così duramente provati dagli eventi della vita.

Non ho nulla contro le invocazioni al perdono, alla preghiera e alla comprensione. Nulla nemmeno contro i moti del cuore che sconvolgono i genitori di un assassino. Non li voglio ridicolizzare o sminuire.

Voglio solo affermare che simili parole stanno bene in una chiesa, durante una confessione, un’omelia. In una casa, in un momento privato.

Certo non in un articolo di giornale. Non nei media, non in rete, da un organo di informazione che forma e performa, che giudica e che crea cultura.

E creare una cultura di compassione e di pietismo nei confronti di un assassino, di chi si macchia di femminicidio, significa consolidare una sorta di “giustificazione” del fatto, indurre le persone a spostare la compassione su chi compie il delitto, a dimenticare la vittima (tanto è morta) e a scordare che se ci sono ancora tante vittime di femminicidio nel nostro paese è proprio perché l’uccisione di una donna in quanto donna trova un terreno fertile, favorevole, anche grazie alla vittimizzazione e alla giustificazione che trovano, nei media, gli assassini.

Nessuna storia di femminicidio viene collegata a quelle precedenti, mostrandone la matrice patriarcale comune. In ogni storia di femminicidio si cercano le cause della morte della donna in una serie di invenzioni o di eventi che nulla hanno a che vedere con la vera e reale motivazione, la cultura del possesso, il patriarcato, la svalutazione della vita di una donna. Si parla (ormai lo sapete bene) di raptus, di gelosia, di passione, di mancanza di lavoro, di droga… E in troppe storie di femminicidio la colpevole è lei, la vittima, di volta in volta troppo bella o troppo autonoma, o dominatrice.

Oggi colpevoli siamo anche noi che non ricordiamo nelle nostre preghiere i genitori dell’assassino e che non ne abbiamo compassione.

di  stregadellosciliar, comunicazionedigenere

L'AUTORE
La redazione di YOUng
SOSTIENI IL PROGETTO!
Sostienici
Quanto vale per te l’informazione indipendente e di qualità?
SOSTIENICI