Nella mente del nemico

2 Febbraio 2014
Redazione YOUng
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I servizi dovrebbero dedurre le intenzioni del nemico. Ci riescono davvero?

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Le valutazioni correnti della minaccia rappresentata da una crescente Cina o per un Iran dotato di armi nucleari forse, o un risorgente Russia dipenderanno da quali indicatori gli analisti prenderanno in considerazione per ricavare previsioni sulle intenzioni dei paesi concorrenti. Poca attenzione viene data tutt’oggi alla analisi delle fonti aperte in ambito universitario, anche per questo è importante lo studio fatto dalla Professoressa Keren Yarhi-Milo, dell’Università di Princeton, pubblicato su International Security, In the Eye of the Beholder. Pensiamo ai memorabili errori e sviste commessi dalla CIA nel valutare le intenzioni dell’Unione Sovietica. Ancora J. F. Kennedy, durante la crisi dei missili a Cuba, affermava con amarezza di non capire per niente il modo in cui pensavano a Mosca.

Nel suo articolo Yarhi-Milo parla di “attenzione selettiva”. Le nazioni possono mettere in atto provvedimenti costosi o meno. Una qualsiasi azione è costosa non solo in materia di finanziamenti investiti, ma anche di quando certe decisioni possono condizionare e limitare quelle future. Qualsiasi “dichiarazione a buon mercato” o provvedimenti che non richiedono l’impiego di grandi somme non dovrebbero essere prese in considerazione; hanno pari probabilità di essere benigne o maligne. Ciò che può rappresentare un pericolo – e richiedono maggiore attenzione – sono tutte quelle azioni del paese avversario che si stima richiedano delle grosse spese.

Particolare importanza viene data da sempre a cambiamenti significativi nelle politiche di armamento. Tali cambiamenti rivelano informazioni credibili sulla capacità di un avversario di impegnarsi in una guerra e quindi la sua intenzione di farlo. Spesso gli analisti si focalizzano sulle informazioni più ecclatanti o che possono confermare le loro visioni o teorie preconcette, raramente tengono conto di quanto costosa possa essere una certa azione e se lo Stato in questione possa effettivamente permettersela. La ricercatrice prende in considerazione tre situazioni storiche come esempi: Le valutazioni degli Stati Uniti sulle intenzioni sovietiche sotto l’amministrazione del presidente Jimmy Carter; le valutazioni di intenzioni sovietiche negli anni che conducono alla fine della Guerra Fredda durante la seconda amministrazione del presidente Ronald Reagan; infine, le valutazioni dei britannici delle intenzioni della Germania nazista nel periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale. I risultati di questi studi si basano su una revisione di più di 30.000 documenti d’archivio e rapporti di intelligence, nonché interviste con ex analisti e funzionari dei Servizi. La teoria dell’attenzione selettiva riesce a spiegare le dinamiche prese in esame in maniera eccellente.

Teorie di intenti e il problema dell’attenzione.

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Per “intenzioni politiche” si intendono le credenze circa i piani di politica estera dell’avversario, siano esse espansionistiche, opportunistiche, o miranti la conservazione dello status quo. Gli stati espensionisti mirano ad estendere la propria influenza oltre il proprio territorio; quelli opportunisti desiderano un cambiamento nella distribuzione del potere a loro favorevole nello scacchiere della regione; infine, chi mira alla conservazione dello status quo vuole semplicemente mantenere la sua posizione di potere.

Le informazioni riguardo le intenzioni del nemico possono essere complesse, ambigue o potenzialmente ingannevoli, e quindi richiedono molto lavoro interpretativo. Pratiche cognitive, affettive ed organizzative ostacolano la capacità degli individui di elaborare queste informazioni. Per distinguere tra prove e meri indizi, gli individui utilizzano una varietà di strategie di inferenza dette “euristiche”. Questi modelli semplificativi della realtà, tuttavia, possono avere l’effetto indesiderato di focalizzazione eccessiva attenzione su alcune parti dell’informazione, allontanandola dalle altre. Tenuto conto dei meccanismi di assimilazione cognitive e la tendenza umana a cercare di mantenere la coerenza cognitiva, chi già sostiene una linea dura riguardo le intenzioni dell’avversario, sono meno propensi a percepire e classificare delle azioni rassicuranti e che comportano dei costi, come credibili segnali di intenti benigni. Si tende a pensare così che le azioni dell’avversario siano volte ad ingannare gli analisti stranieri. Oppure si può ritenere che i segnali rassicuranti dell’avversario riflettano meri interessi economici o politici nazionali e quindi non vengono derubricati come obiettivi di politica estera, quanto di economia interna. Curiosamente si tende a prendere come indizi di intenti benigni tutte le informazioni poco rilevanti e meno in vista. La tendenza euristica a interpretare le fonti sulla base di quanto appagano i nostri preconcetti sull’avversario è un problema di non poco conto nel lavoro di analisi. La ricercatrice definisce questi fenomeni “ipotesi personali di credibilità”. Si tende ad “aggiornare” le informazioni del nemico in ragione delle proprie convinzioni di partenza e non viceversa.

Il crollo della distensione, 1977-1980

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Jimmy Carter ha iniziato la sua presidenza con grande ottimismo circa i rapporti con l’Unione Sovietica. Ma durante il suo ultimo anno in carica la distensione con l’Unione Sovietica era saltata: Carter non ha raggiunto un’intesa coi leader sovietici, ha aumentato il budget della difesa ed ha poi annunciato la dottrina Carter, mettendo in guardia contro qualsiasi interferenza sugli interessi degli Stati Uniti in Medio Oriente. I sovietici intrapresero due azioni costose che soddisfano i criteri della teoria. Innanzitutto firmarono gli accordi SALT II, che prevedevano riduzioni nelle forze strategiche delle due potenze; inoltre i sovietici intervennero in ventisei conflitti 1975 al 1980, di particolare rilevanza l’intervento in Etiopia e l’invasione dell’Afghanistan. Gli Stati Uniti temevano che il modello delle azioni sovietiche si espandesse al di là del ” arco di crisi” per includere le regioni dei paesi più importanti per gli interessi statunitensi. L’invasione sovietica dell’Afghanistan ha intensificato ulteriormente questa paura, perché era il primo uso diretto della forza sovietica al di là delle nazioni del Patto di Varsavia per ripristinare un regime comunista. Carter e i suoi consiglieri non erano d’accordo sul valore informativo delle azioni costose dei sovietici. In sostanza c’era chi interpretava quelle azioni così apparentemente discordanti (disarmo da una parte, interventi militari dall’altra) come espansioniste, chi come semplicemente opportuniste, ovvero i russi non avrebbero avuto l’intenzione di minacciare paesi nel quale non vi fosse un regime comunista già insediato. La cosa interessante è che nessuno si prese la briga di verificare se effettivamente i sovietici avrebbero avuto le possibilità economiche e militari di intraprendere un piano espansionista vero e proprio; ragionavano solo in termini di azioni apparenti. Questo anche per il fatto che la CIA aveva carenze enormi riguardo l’Unione Sovietica, dove era molto difficile infiltrare degli agenti. Solo oggi sappiamo che si trattava di un gigante dai piedi d’argilla, con una spesa in bilancio per mantenere i costi delle forze armate, del tutto sproporzionata rispetto alle altre voci.

La fine della guerra fredda, 1985-1988

30ee0ddb965b0ce02a8be51f9601bedb_1MDurante il suo primo mandato Ronald Reagan percepiva le intenzioni sovietiche come espansioniste. Le sue opinioni cambiarono radicalmente durante la sua seconda amministrazione. A seguito del vertice di Mosca nel maggio 1988, Reagan ha affermò che la sua concezione dell’Unione Sovietica di cinque anni prima, descritta come «impero del male» apparteneva al passato. Eppure in quel periodo gli analisti stimavano ancora il potere militare dell’URSS in crescita; secondo loro i sovietici stavano ammodernando tutti il loro armamenti. A un anno dal crollo del Muro di Berlino l’intelligence americana interpretava le fonti ancora in maniera fortemente stereotipata. Nella testa di Reagan esisteva ancora un nemico in grado di ingaggiare una Terza Guerra Mondiale.

Per quanto riguarda i segnali comportamentali sovietici, le proposte di Gorbaciov non erano ritenute sufficientemente “costose”, sebbene l’Unione Sovietica avesse offerto rassicurazioni ulteriori e significative. Da ritenersi costose sarebbero dovute essere l’accettazione sovietica di riduzioni asimmetriche degli armamenti ed il ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan. Inoltre Gorbaciov si impegnava a ristrutturare il sistema politico del suo paese. C’è da chiedersi allora, quanto potesse essere vantaggioso terrorizzare il popolo americano, in materia di consenso politico. Sicuramente tanto.

Il periodo tra le due guerre, 1934-1939

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Molto interessante è vedere come i Servizi inglesi analizzarono le intenzioni della Germania nazista negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale. Gran parte degli analisti erano convinti che le intenzioni della Germania fossero meramente opportunistiche. Accettarono quindi le assicurazioni di Hitler a seguito dell’occupazione della Renania (territorio tedesco ai confini della Francia, smilitarizzato). Sir Robert Vansittart, sottosegretario permanente del Foreign Office britannico, fu uno dei pochi ha tenere una visione a sostegno del la linea dura nei confronti dei nazisti. Capì subito che quelle della Germania erano vere e proprie mire espansionistiche. Tutte cose che a noi oggi appaiono ovvie. Vanisttart si documentò parecchio analizzando i discorsi di Hitler.

Solo a partire dal 1936 , l’intelligence cominciò a rivedere le sue valutazioni riguardo le capacità militari della Germania, considerando il suo arsenale militare addirittura superiore a quello Britannico. Anthony Eden, segretario degli affari esteri assieme a Vansittart e altri funzionari del Foreign Office, videro la militarizzazione della Renania come un segnale forte e conclusero che la Germania non aveva alcuna intenzione di rispettare gli impegni presi. Nonostante questi primi allarmi, nel marzo 1938, a seguito del Anschluss con l’Austria, Chamberlain, nuovo primo ministro, non si scompose minimamente, ritenendo che Hitler fosse coerente col suo programma “opportunistico”, limitato ad annettere i territori di lingua tedesca; credeva che Hitler non volesse correre il rischio di inimicarsi la Gran Bretagna. Questo era certamente vero, il problema era che il dittatore nazista a sua volta si faceva forza dell’arrendevolezza di Chamberlain, contando di avere la strada libera da parte degli Inglesi, nell’ottica di una futura guerra contro l’Unione Sovietica. Una farsa di equivoci contrapposti, che presto si sarebbe trasformata in tragedia. Con la crisi dei Sudetti si ottiene l’estremo opposto: L’eccessiva paura di scatenare un conflitto mondiale porta agli accordi di Monaco, che spianano la strada alla sucessiva mossa di Hitler: L’invasione dell’intera Cecoslovacchia. In conclusione, le prove documentali indicano che in molti casi importanti gli analisti britannici hanno ignorato le azioni apparentemente costose della Germania, contando più su intuizioni personali, anche a seguito di loro interazioni dirette con Hitler e i suoi gerarchi, assicurazioni verbali di Hitler incluse.

Conosci il tuo nemico.

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Le spie di Cambridge: Kim Philby, Guy Burgess, Donald Duart Maclean, Anthony Blunt e John Cairncross. Sono considerati le più grandi spie di sempre.

Inglesi e americani dimostrano una miopia scandalosa. Come si spiegano questi errori? Possiamo solo fare delle ipotesi; nel caso dell’intelligence inglese degli anni ’30, per esempio, sappiamo che già allora i Servizi sovietici infiltrarono quelli britannici, con agenti che poi vennero inviati in Germania. Di fatto dei dopiogiochisti. Stalin allora era mosso da un altro equivoco: Riteneva che Hitler non avrebbe mai cercato di invadere l’Unione Sovietica ed aveva interesse a orientarne le mire contro l’Occidente. Da questa visione si passa all’inquinamento delle informazioni che le spie inglesi facevano arrivare agli analisti in patria. Non sapremo mai se le cose andarono davvero così, ma di sicuro esistevano spie doppiogiochiste che abbracciarono la causa comunista; citiamo le più famose, i Magnifici Cinque”, noti anche come le “ spie di Cambridge”, di cui ci proponiamo di scrivere un articolo prossimamente.

Ogni governo in sostanza tenderà da un lato a far credere di avere più mezzi di quelli che effettivamente ha, come il gigante dai piedi di palza sovietico; contemporaneamente garantirà la propria fedeltà agli accordi internazionali, salvo poi violarli al momento giusto, come la Germania di Hitler. Solo una analisi induttiva, che tiene conto il meno possibile di aspettative preconcette e l’analisi dei corretti indicatori che svelano il concreto riarmo di un paese possono aiutare gli analisti ad interpretare le fonti aperte e quelle frutto delle attività di spionaggio.

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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