Denunci uno stupro? ti costringono ad abbandonare la scuola

14 Febbraio 2014
Redazione YOUng
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In Italia sono il 92% le donne che non denunciano lo stupro principalmente per paura di ritorsioni, di non essere credute e di essere giudicate sulla propria sfera sessuale.

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Capita però che qualcuna trova il coraggio di farlo e invece che avere solidarietà  viene sbugiardata, riceve insulti, minacce e ritorsioni. E’ successo aMarinella insultata e minacciata da tutta Montalto di Castro e costretta con la sua famiglia ad abbandonare il paese. E’ successo anche ad Annamaria Scarfò che trovò il coraggio di denunciare anni di stupri subiti da gran parte del paese e ora vive in una località protetta sotto scorta in quanto tutto il paese la perseguitava affinché ritirasse la denuncia e all’avvocato di Rosa, la ventenne violentata e torturata in una discoteca di Pizzoli (AQ).

E’ successo ancora in questi giorni, quando una ragazzina ha trovato il coraggio di sconfiggere la vergogna e di denunciare alcuni suoi compagni per averla molestata pesantemente. Nemmeno il preside l’ha creduta e sostiene che il fatto non sussisteva e che non sia poi così grave.

Non è così grave costringere una compagna di classe ad un rapporto orale che stava anche per degenerare in altro?

Ora la ragazzina è stata costretta ad abbandonare i suoi sogni, a rinunciare alla scuola perché dopo la denuncia ha cominciato a ricevere messaggi minatori. Insulti, minacce di ogni tipo: «La pagherai, hai rovinato la loro vita»«sei un’infame ». Questi alcuni degli sms ricevuti, solo per aver messo fine a mesi e mesi di molestie che non riusciva a denunciare per vergogna.

«La ragazza non sta bene, ha abbandonato la scuola e continua a ricevere sms di insulti e minacce […] deve superare lo choc della violenza e non è facile anche perché insistono a fargliene altre» sostiene Maria Teresa Bergamaschi, l’avvocato che difende la studentessa sedicenne vittima degli abusi sessuali commessi da altri quattro coetanei del Migliorini di Finale Ligure.
Le molestie nei suoi confronti duravano da settimane e nel pomeriggio del 31 gennaio sarebbero degenerate in vere e proprie violenze sessuali, avvenute in uno degli spogliatoi della scuola.

 Qui siamo in Italia eppure una ragazza o una donna che denuncia uno stupro viene isolata, presa di mira e insultata perché non ha scelto il silenzio.

Se la vita di una donna viene rovinata poco importa, le donne sono inferiori. Siamo nel Paese dove il diritto allo stupro è forte e dove messaggi di questo tipo vengono incitati perfino da persone di politica contro le proprie colleghe.

Fino al ’96 nel codice penale non esisteva nemmeno il concetto di stupro. Lo stupro era reato contro la morale e non contro la persona. Il Codice Rocco, fino all’81, classificava i reati di violenza sessuale rispettivamente tra i “delitti contro la moralità pubblica e il buon costume” e distingueva la violenza carnale dagli atti di libidine violenti (quelli senza penetrazione).  L’articolo 544 c.p. ammetteva il “matrimonio riparatore”: secondo questo articolo del codice, l’accusato di delitti di violenza carnale, anche su minorenne, avrebbe avuto estinto il reato nel caso di matrimonio con la donna violentata. Questo perché la vittima, una volta persa la verginità veniva percepita come disonorata e la perdita dell’onore colpiva la sua famiglia. Il rischio di non potersi più sposare era altissimo.

Nel nostro Paese lo stupro viene legittimato e giustificato in ogni modo. Alimentando la “spirale del silenzio”, colpevolizzando la vittima di essere una provocatrice e di aver vestito in modo licenzioso, accusandola di essere consenziente e di esserselo inventato. Oppure sminuendo lo stupro, come ha fatto il preside.

A meno che lo stupratore non sia straniero, in Italia una donna violentata non avrà alcun tipo di giustizia né solidarietà. Se lo stupratore fa pare della “comunità” ed è parte del gruppo allora scatta questo meccanismo contro la vittima. Così si ribalta la situazione: la carnefice diventa lei e gli stupratori passano per le vittime. Il massimo che si sono beccati è stata una nota da parte degli insegnanti, roba da matti.

Per la ragazzina la condanna, il marchio è a vita e il divieto (da parte dei bulli) di tornare a scuola. Questo evidenzia il gap tra uomini e donne ancora presente nel nostro Paese. L’autodeterminazione che viene concessa agli uomini è talmente forte da venir legittimato perfino lo stupro.

In Italia il gap tra uomini e donne è talmente ampio che nella classifica realizzata dal World Economi Forum (global gender gap) figuriamo tra gli ultimi posti del mondo. Nelle famiglie già da bambini si apprendono i ruoli di genere. I maschi si devono comportare in un certo modo e le femmine in un altro.

Dai maschietti ci si aspetta che non crescano effemminati e se sono un po’ prepotenti la famiglia attribuiscono questo come una caratteristica dell’essere maschio, l’uomo che non deve chiedere mai. I padri insegnano ai maschietti che devono manifestare molto interesse sessuale verso le ragazze per non passare per omosessuali e che per non passare per femminucce non devono piangere e pertanto alcuni cresceranno con un’anestesia emotiva che è irreparabile. Le madri insegnano loro che i compiti domestici spettano alle femmine, comportandosi da chiocce. Le femminucce invece devono crescere passive, romantiche, dedite alla cura e che per distinguersi dalle “donnacce” (quelle che servono per placare il “naturale desiderio maschile” per non apparire omosessuali) non possono manifestare desiderio sessuale o troppa femminilità ma devono accettare anche “attenzioni” sgradite.

Su Facebook gira una delle tante foto che testimoniano quanto ancora fosse forte la disparità sessuale tra maschi e femmine:

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Il corpo femminile viene visto come una proprietà. La sessualità e la riproduttività delle donne legata all’onore della famiglia. L’autodeterminazione delle ragazze (ma anche delle donne) è talmente negata che esse vengono percepite come coloro che non sono in grado nemmeno di decidere quando rimanere gravide o meno. Un po’ come gli animaletti domestici.

La femminilità percepita come qualcosa di sporco, oltraggioso, scandaloso. Condannata perché “colpevole” di stimolare gli impulsi degli uomini eterosessuali. E poco importa se hai solo tredici anni, in Italia la pedofilia è percepita come accettabile.

Così il corpo di una ragazzina viene percepito già come provocante anche se acerbo. Il desiderio maschile è talmente legittimato da non riuscire ad essere messo in discussione. E’ l’uomo cacciatore dunque è la “preda” che deve coprirsi.

La donna non deve fare la “troia” ma l’uomo può andare con le “troie”. Ecco la logica sessista che va avanti da millenni. La riprovazione ricade sulla donna che “si è concessa” appagando i desideri proibiti dell’uomo.

Se nemmeno una donna che viene costretta a fare sesso viene rispettata è ancora più difficile poter combattere questa cultura che legittima la disparità di desiderio e di diritti sessuali tra uomo e donna. La cultura dello stupro, inoltre si mantiene viva attraverso il mantenimento di questa disparità.

Se l’uomo è soggetto attivo e la donna è oggetto passivo allora anche lo stupro è comprensibile che accada, accompagnato dalla teoria del vis grata puellae dove la vittima viene considerata come “colei che ha provocato o che lo ha desiderato”. E allora si instaura questo meccanismo che instaura nelle vittime il senso di vergogna inibendo le denunce, incrementando gli stupri, rafforzati anche dall’induzione delle vittime al silenzio. E quanto più una donna riesce a rompere il silenzio più sarà facile porre fine agli stupri.

Percepire e denunciare uno stupro è come un po’ delegittimarlo. Ecco perché la sedicenne di Finale Ligure sta subendo ritorsioni come tante altre che hanno trovato il coraggio di rompere il silenzio.

La violenza sulle donne è la prima causa di morte, di invalidità e anche dell’alienazione sociale delle donne. Quante donne violentate, picchiate, vittime di stalking hanno (a causa delle ripercussioni psicologiche e delle minacce da parte dei violenti e complici) dovuto rinunciare al lavoro, all’istruzione, alla propria sessualità e alle proprie abitudini che le appagavano dopo le violenze?

Continuiamo ad ignorare le conseguenze della violenza di genere?

Le violenze sessuali sulle donne e il bullismo all’interno delle scuole stanno subendo proporzioni spaventose. A Bari l’anno scorso è successo un altro caso analogo.

Lo stupro non è un atto di libidine ma di sopraffazione ed è compito della società insegnare ai maschi il rispetto per le donne, insegnare alle ragazza e donne a riconoscere questi episodi e darle forza e coraggio nel denunciarli perché conteranno nella solidarietà di una grande rete di donne, di centri anti-violenza che stanno dalla loro parte.

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