Sorrentino "Al nostro cinema mancano idee, non soldi"

7 Aprile 2014
Valentina Sanseverino
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sorrentino1“Non credo che la distinzione tra letteratura e cinema passi solo attraverso il concetto dei soldi, la cosa importante è la libertà delle idee. Le pochezze di certi film sono attribuibili più alla mancanza di idee che a quella di denaro… Insomma, questo è un Paese che tende a piangersi addosso, il problema economico è reale, ma non giustifica il fallimento di un film” parola di premio Oscar. A circa un mese di distanza dalla notte che lo ha reso celebre in tutto il mondo Paolo Sorrentino si concede al suo pubblico e spara a zero su incompetenti e criticoni. “Le idee cattive durano una giornata – prosegue -. Quelle buone arrivano ad ossessionarti e quando le sviluppi, non incontri difficoltà”. Ma non è solo colpa delle idee “In Italia – prosegue – chi ci fa fare cinema tende a smussare ogni cosa e a ridurre qualsiasi storia, qualsiasi film in una specie di quadrilatero berlusconiano: stesso messaggio, stessa morale, stesso linguaggio”.

imagesVa a ruota libera Paolo Sorrentino e lo fa con affettuosa ironia e senza falsa modestia. L’occasione è il Bif&st (Bari International Film Festival) che, nel premiarlo con Federico Fellini Platinum Award, lo ha invitato a tenere una lezione sul cinema al Teatro Petruzzelli e lui, con le scuole non è mai andato troppo d’accordo, stavolta ha accettato offrendosi ad una sterminata platea di studenti e non per parlare di se ma, soprattutto, per parlare dell’Italia. Un paese di artisti che si piangono addosso per nascondere, dietro quelle lacrime, il vuoto della loro fantasia, la loro mancanza di coraggio. “Per cercare di avere una possibilità di affermazione, un film deve procedere su due binari paralleli. Bisogna lavorare da una parte sulle idee del film, dall’altra sul linguaggio. Da noi ultimamente si lavora sulle buone idee (su ciò che fa bene e ciò che fa male). Secondo me non basta, non sono d’accordo con il detto americano ‘per fare un buon film basta un’ottima sceneggiatura. Io ho sempre puntato al linguaggio, assumendomi dei rischi. Ho fatto molti esperimenti nella Grande Bellezza per arrivare a un linguaggio originale – rivela – e questa è una cosa che il cinema italiano fa poco, anche perché è difficile… essere severi con se stessi aiuta”.

PaoloSorrentino_ToniServillo_fotoGianniFiorito_01572--620x385Il film che a 44 anni gli ha regalato il premio cinematografico più ambito di tutti i tempi è, ovviamente, al centro dell’incontro di ieri a Bari “Solo in Italia non ci si è ancora messi d’accordo su cosa sia un film. Tutto il resto del mondo in vece lo sa. In un film non dev’esserci necessariamente una rappresentazione veritiera della realtà. Basta che un film sia verosimile al suo interno. Negli anni, mi hanno accusato di non mettere le periferie nei miei film. Le ho messe e poi si sono lamentati perché non c’erano le trattorie. Raccontare una città limitandosi a mostrarla così, con le sue trattorie e i suoi negozi è una cosa da ignoranti. Io volevo raccontare Roma – rivela quasi commosso – L’Italia, cosa suscita il riso, tutte le preoccupazioni esistenti, ogni forma possibile di bellezza, ogni tristezza, ogni umana inquietudine. Quando cerchi di raccontare tutto, per forza tralasci qualcosa. Le uniche critiche che accetto sul film sono quelle di superficialità. In fondo la superficialità è una delle caratteristiche del mio Gep”.

download (2)Il suo Gep, la sua musa, è al centro delle domande di un’affascinata platea “Parto sempre dalla scelta del protagonista, mi aiuta a mettere a fuoco il personaggio… E poi lavorare con attori bravi è facile e divertente. Quando gli mandai la sceneggiatura de L’uomo in più, Servillo era un solido e affermato attore di teatro. Il tempo passava e non ci faceva sapere nulla. Allora gli telefonai e gli dissi che non avevamo più bisogno di lui perché avevamo trovato un sostituto. A quel punto, come spesso succede con gli attori, Toni lesse il copione tutto in una volta e al telefono mi disse: ‘Ma perché vuoi fare anche il regista? Hai scritto un’ottima sceneggiatura, fai dirigere il film a uno bravo”. Non poteva che essere lui il volto, i gesti e la voce dei personaggi più indimenticabili partoriti dalla fantasia raffinata e originale del regista napoletano: “Sono affascinato dai mascalzoni. E dagli asociali. Anch’io sono un asociale. I miei personaggi non sono esattamente dei trasgressori, ma avvertono un profondo disagio nel relazionarsi con gli altri, con la società in cui vivono. Andreotti, per esempio, era un asociale, anche se andava ovunque, era ultra-comunicativo, la persona più segreta di tutte e insieme la più visibile. Il potere gli aveva provocato una strana reazione, tutto, per lui era banale, stava su un piano orizzontale, per cui un omicidio era come un pranzo. Anzi, rettifico, il sesso come andare a comprare il pane. Quanto a Gep Gambardella, organizza eventi speciali e mondani solo perché vuole rimandare l’appuntamento con se stesso”.

images (2)Poi il regista si è esposto al fuoco diretto delle domande del pubblico: è così è venuto fuori che ha scelto di fare questo mestiere “per un senso di rivalsa. Un sentimento che però bisogna far durare poco, prendendone presto le distanze. Si parte dalla necessità di dialogare con se stessi. Poi però bisogna avere a che fare con tante persone insieme, è faticoso… Non amo essere al centro dell’attenzione e sul set succede di esserlo per tanto tempo.” Quello che  gli piace è invece “la fase in solitario della scrittura”, ma anche “quando arrivano i camion sul set: penso che siano pieni di regali per me. Non mi piace invece essere quello che gestisce tutto. Prima di diventare regista, mi occupai per un breve periodo di produzione. Non era il mio campo. La mia capacità di organizzazione era pari a zero. Una volta mi capitò di smarrire il girato, e fummo costretti a rifare parecchie scene.Odio avere a che fare con gli estranei. Detesto essere al centro dell’attenzione. Anche ascoltarmi mentre parlo mi dà fastidio. Penso di essere uno che sta ancora imparando e sono abbastanza egoista da annoiarmi a condividere le cose”. E odia anche  i facili moralismi, soprattutto sullo schermo “Non mi piacciono i film che esprimono un giudizio preciso, non li ho mai amati. Sono ipocriti. Il moralista è pericoloso: dice subito la sua opinione e poi non ci sorprende più, non mantiene alto il nostro interesse fino alla fine.”

E alla domanda provocatoria dal pubblico “Ho scritto un soggetto, potrebbe dirmi che ne pensa?” ha subito la risposta pronta “No, guardi, adesso è troppo presto. Quando diventerò più grande, passerò dalla parte di chi vuol scoprire nuovi talenti. Per adesso mi godo la cosa più bella del lavoro, cioè il lavoro.” E sul futuro dribbla “Lasciateci la nostalgia, qualcuno ha detto che è l’unica difesa contro il futuro. E’ ovvio essere nostalgici, nel futuro ci sono la vecchiaia e la morte”.

In attesa di ritrovarlo dietro la macchina da presa, vi invitiamo alla visione di Films of City Frames, corto girato con scene scartate da La Grande Bellezza, dal suo assistente alla regia, Piero Messina, per Giorgio Armani

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