L'anima nuda di una prostituta

12 Aprile 2014
luciana
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nd961Una hostess di tabaccheria io, una prostituta lei.

Per me, indossare la divisa è obbligatorio: gonna, camicia, decolleté nere, messa in piega perfetta e trucco impeccabile.

Per lei, la divisa, è composta da una mise tutt’altro che formale: pochi e succinti abiti, trucco marcato ed accattivante, mercanzia in bella mostra.

Il mio scopo è catturare l’attenzione dei fumatori.

Il suo scopo è catturare l’attenzione dei clienti. Fumatori e non.

Più articolato per me, apparentemente più semplice per lei.

In realtà, in entrambe, regna la consapevolezza che disponiamo di pochi scampoli di secondi per “portare a casa l’obiettivo”.

Adescare” ed essere convincenti, seppure avvalendosi di armi diverse, seppure per perseguire intenti dissimili, però, parimenti utili e necessari a metterci in condizione di “guadagnare la giornata“.

La dialettica nel mio caso, l’arte dell’ammiccante contrattazione nel suo, rappresentano i rispettivi salienti punti di forza.

Per entrambe diventa un meccanismo indotto, acquisito nel tempo, affinato ed arricchito dall’esperienza che si protrae e si ripete, ciclicamente e staticamente, tutti i giorni, ogni giorno per tutto il giorno, nel mio caso, per tutta la notte, nel suo.

Una, due, dieci, venti, cinquanta, cento e più volte.

Tutte le volte che la sagoma di un essere umano viene proiettata nel nostro campo visivo.

Eppure, proprio perché mi risulta assai semplice entrare in empatia con quella sfera emotiva, trovo agghiacciante che una donna possa riuscire a trasformare il suo corpo in una macchina, esattamente come ho saputo fare io, con la mia voce, tramutandola in un nastro registrato.

Dopo un po’ ti abitui, diventa un lavoro come tutti gli altri, come lavorare in fabbrica, accanto ad un macchinario. Solo che in una sera “rischi” di portare a casa i soldi che un operaio guadagna in un’intera settimana di lavoro. E non credere che tutte quelle che battono lo fanno perché sono costrette da qualcuno che le obbliga a stare sul marciapiede. Guadagnare tanti soldi, seppure vendendo il proprio corpo, provoca perfino piacere in certe donne che scelgono con cognizione di causa di prostituirsi.

Alla fine del mese, dalla mia busta paga, tra una voce e l’altra, tutte riconducibili sotto l’etichetta di “trattenute fiscali“, viene detratta una lauta somma da quel che resta del mio stipendio.

Lei è una beneficiaria illegittima dello sgravio fiscale, in quanto “lavoratrice in nero”. Eppure, anche lei è “diversamente obbligata” a versare dei “contributi fissi”.

Lavorare senza un protettore, può apparire una scelta scaltra, ma, in realtà, è la più ingenua, perché rappresenta il modo più stupido che una prostituta può scegliere per esporsi a sicuri e spiacevoli rischi. Non puoi mai sapere di che pasta è fatto l’uomo che ti abborda. Sotto le fattezze del più distinto e “normale” uomo perbene, infatti, può celarsi, un manesco, bruto, violento misogino che avanza richieste che oscillano tra lo strambo e l’agghiacciante o che, dopo aver concluso l’atto sessuale, ti saluta con una serie di impietose percosse, per poi lasciarti, spogliata di abiti e dignità, sul ciglio di una strada qualunque, come se fossi tutto, tranne che un essere umano. Il protettore esiste per assicurarsi ed assicurarti che tutto vada come deve andare e per evitarti di inciampare in simili ed anche più gravi incidenti di percorso. Per quanto ci pesi ammetterlo, siamo donne e fisicamente siamo più deboli di loro. Nel nostro caso, è necessario tutelarsi. Ed, ovviamente, questo comporta dei costi. Il prezzo da pagare per lavorare senza seccature. Tutto qua.

Entrambe lavoriamo 7 ore al giorno, anche se diversamente ripartite. Due turni della durata di 3 ore e 30 minuti ciascuno, per me, un unico turno che inizia al calar del sole, per lei, quando la mia giornata lavorativa volge al termine.

Due stipendi completamente diversi, due stili e ritmi di vita agli antipodi, accomunati, tuttavia dal medesimo bavaglio che zittisce i propri principi.

Ognuno di noi, nel momento in cui accetta di svolgere un lavoro o un progetto di vita diverso da quello che ha sempre sognato ed intorno al quale ha radicato, pianificato e costruito valori, principi, ideali, rinnega una parte di se, sacrifica e compromette la versione più ingenua e sognatrice della sua persona, per denaro. Che sia il tuo corpo, la tua mente o la tua anima, poco importa, esistono tante e varie forme di prostituzione. Esiste una prostituta in ogni essere umano. Anche negli uomini, o meglio, “nei maschi”. Perché spogliarsi degli abiti del padre e del marito esemplare per venire a letto con una come me, significa prostituire quei valori ai quali si è giurato eterna fedeltà.

Ed è per questo che non reputo i miei clienti migliori di me.

Non esistono persone migliori, siamo proprio e davvero tutti uguali.

Chi ti mette in condizione di essere qui per “produrre guadagno”, attraverso le tue “capacità seduttive”, innesca un sottile gioco psicologico tra te ed i fumatori che agganci, la cui risultante finale è frutto del desiderio contorto, insito nel pensiero di averti posseduta e soggiogata solo perché acquista le sigarette da te presentate, facendo di te una sorta di “prostituta d’intenti” inconsapevole e “legalizzata”.

Negli anni ho imparato un’unica, grande ed inattaccabile lezione di vita: tutto ruota intorno al sesso e alle suggestioni, fisiche e mentali, legate al sesso.

In maniera più o meno esplicita.”

Singolare è la scoperta radicata nella presa di coscienza che, prima che i nostri frammenti di quotidianità s’intersecassero per pochi, fugaci, ma sostanziali attimi, non avessi mai maturato quella consapevolezza, perché i miei occhi non possedevano la chiave necessaria per aprire la mia mente verso quella diversa e nuova interpretazione della realtà dei fatti.

Ore 19,30: il mio turno pomeridiano è finito, posso svestire i panni della hostess di tabaccheria e ritornare ad essere semplicemente me stessa.

Mentre mi accingo a raggiungere l’auto, animata dalla frettolosa impazienza che precede ed introduce l’incontro con le mie adorate e confortevoli converse, gli ultimi passi macinati dalle mie stanche e scomode decolleté si estendono lungo quello stesso marciapiede che si appresta a vestire le improprie spoglie di “ufficio” di quelle prostitute che si preparano, di contro, ad iniziare il loro turno.

Qualcuna infila delle calze a rete, qualche altra, invece, mossa da una paradossale e puritana timidezza, cerca riparo dietro il chiosco di un’edicola, mentre monta su un paio di vertiginosissimi stivali, quasi come a voler salvaguardare, non tanto le sue femminee e sinuose fattezze da occhi indiscreti, quanto più l’opinabile e falsata convinzione di non essere in diritto di possedere un sincero senso del pudore.

Prima di quel momento, non mi ero mai realmente resa conto di come e quanto sia contorta e macchinosa la mente umana.

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