Faccio il lavoro dei miei sogni in Italia: Bartolomeo Giuliano

16 Maggio 2014
Valentina Sanseverino
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Vivere delle proprie passioni nel nostro paese si può? Lo abbiamo chiesto a chi ha fatto dei propri sogni un lavoro..ed è rimasto in Italia!

Bartolomeo Giuliano, 27 anni, produttore discografico

“Da grande voglio fare…” E poi cosa è successo?

74832_475123407557_5308515_nL’astronauta!..Poi ho scoperto che bisognava andare all’università, e così ho ripiegato sulla musica! Ad aprirmi le porte di questo mondo è stato il mio fratellone, Dj Licantropus dei Ground Zero Vibes, che già all’epoca era molto attivo come Dj e producer. Mi lasciò prima spiare e poi giocare con  quella che di lì a qualche anno avremmo cominciato a chiamare “DAW”, ma che per noi allora era solo “il computer di papà”. Allora usavamo Fast Tracker 2, un programmino che girava in DOS, poi l’avvento di Win 98 ci portò a cambiare sofware; quel periodo coincise con due momenti chiave del mio percorso: l’acquisto del mio primo basso elettrico e la deviazione dai loop techno ai giri di basso dei Nirvana e dei Muse, con qualche timido  tentativo di approccio al Jazz. A 16 anni la mia strada per “conquistare il mondo” era la musica: ho iniziato a militare in formazioni di inediti e cover band, entrando in contatto con modi di suonare e pensare la musica diversissimi tra loro. Non riuscivo a focalizzarmi su un solo genere, sentivo di voler “vivere” sonorità, finché non ho iniziato a registrare le mie prime demo: allora tutto è diventato improvvisamente nitido! Ho messo da parte lo strumento e mi sono dedicato alla nuova passione.

Come hai fatto a trasformare la passione adolescenziale in un vero e proprio lavoro? Come si realizza materialmente, prosaicamente, un sogno?

In principio fu il verbo. Ho “occupato” la tavernetta di mamma e papà e l’ho trasformata in sala prove, ho investito tutti i miei risparmi e regali di compleanno in pc e microfoni da karaoke iniziando poi a “smanettare” sui software insieme agli amici musicisti. Intanto facevo volantinaggio, davo lezioni di musica, lavoricchiavo come fonico nelle serate e con i primi risparmi compravo schede audio, microfoni, preamplificatori e tutti quei costosi e misteriosi marchingegni che, con le loro variegate lucine, rendono magico uno studio di registrazione quando si è al buio cullati dalla musica. Contemporaneamente divoravo manuali, mi abbuffavo di nozioni tecniche e teoriche, spiluccavo articoli, seguivo come un ombra il lavoro dei service locali e facevo da assistente negli studi. Non ho mai chiesto finanziamenti, prestiti o sovvenzioni: ho sempre investito solo su me stesso, stando attento a spendere solo quando la somma derivasse da un guadagno precedente o da un lavoro commissionato. Se vuoi avere la testa fra le nuvole, fa sempre bene avere i piedi ben piantati a terra. La musica è un mestiere crudele: quando ci lavori tutti (te compreso) pretendono il massimo dell’impegno, professionalità e competenza, ma siccome fai “quello che ti piace”, poi si da spesso per scontato che il tuo lavoro non debba essere retribuito.

1497509_10152108244642558_1590481441_nQual è il tuo segreto per restare a galla in un momento storico ed economico in cui la maggior parte dei giovani come te sono costretti ad emigrare o abbandonare i propri sogni per svolgere lavori umilianti, sottopagati, noiosi?

Avere le idee chiare, da subito. Il resto è venuto da se: un pizzico di fortuna nell’aver imboccato le strade giuste, una buona dose di incoscienza nell’affrontare la gavetta e tanto, tanto olio di gomito. Il lavoro è una cosa sacra. Anche se non è ancora quello dei nostri sogni, può trasformarsi nella base economica da cui trovare i fondi per investire inventandoci la nostra prossima attività… o può per lo meno garantirci di vivere dignitosamente e dedicare il nostro tempo libero ad inseguire le nostre passioni. Forse è questo il mio segreto: affrontare qualsiasi ostacolo sapendo che mi porterà un passo più vicino a ciò che sto costruendo. Poi, certo, il nostro è un paese zeppo di problemi e contraddizioni e non è detto che tutti si sentano di sopportarli: emigrare in cerca di maggiori opportunità o condizioni di vita migliori, significa scegliere un cammino. Ogni cammino ha la sua storia. Ogni storia ha il suo cammino.

Quali sono i principali ostacoli che hai trovato sul tuo? E quali gli appigli per resistere?

Il più grande ostacolo è il vuoto che c’è intorno al mondo della musica: non esiste un vero e proprio sindacato, né un albo… E’ un po’ una terra di nessuno in cui ognuno, in qualsiasi momento, può decidere di fare qualsiasi cosa, me compreso, sia chiaro. Ciò offre una libertà che sarebbe inimmaginabile in qualsiasi altro contesto lavorativo, ma lascia spazio anche a tanta concorrenza sleale… Personalmente ho trovato estremamente complicato fondare la mia casa editrice musicale Hopeland: Tra “colleghi” che mi scoraggiavano dall’aprire una partita iva, perché “tanto sono solo soldi buttati”, la pirateria dilagante sia sui software (parlo di chi produce) che sui prodotti di consumo (parlo di chi usufruisce), la burocrazia che ti chiede requisiti al limite dell’insostenibile per fare le cose “in regola” mentre consente escamotage spaventosi per chi decide di fare tutto infischiandosene delle regole… Nel mio piccolo, trovandomi a stretto contatto con tanti “artisti in erba” e realtà giovani, provo a documentarmi costantemente e a fare informazione su quelle che sono le “modalità corrette” per approcciarsi al mondo del lavoro artistico in maniera professionale. Sono fermamente convinto che l’ignoranza sia la madre di tutti i mali, quindi il primo passo per la soluzione è quello di far luce sui problemi, parlarne e cercare soluzioni. Se la mia generazione non è in condizione di vivere serenamente questo tipo di “scelte professionali”, ritengo sia nostro preciso obbligo adoperarci affinché possano farlo quelle seguenti.

 Se non avessi fatto questo, cosa saresti, dove saresti ora?

In qualche campo d’addestramento ad allenarmi alle variazioni di gravità e a studiare corposi manuali di pilotaggio per astronavi…O a gestire un chioschetto in un paese tropicale.

Tre parole per chi sta pensando di mollare, di lasciarsi alle spalle i sogni e abbandonare i suoi progetti..

Sognare non è un diritto acquisito. E’ un qualcosa che si costruisce su un terreno paludoso, su strati di delusioni, sudore e lacrime. Ma se non credi nel tuo sogno, non sarà di certo il tuo sogno a credere in te. Se ci sono le condizioni per continuare a provarci, allora provaci; se non ci sono, prova a cambiare le condizioni affinché diventino favorevoli al continuare a provarci… Almeno ci avrai provato!

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