Capire Platone

20 Giugno 2014
Redazione YOUng
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«L’essere è, il non essere non è». Grazie al cavolo, direte voi. Quando lo disse Parmenide la gente si divise in due fazioni: chi esclamava un «Oh!» di ammirazione e chi lo mandava a quella polis.

platoneIl filosofo voleva solo far notare che una cosa non può essere e non essere contemporaneamente, inoltre l’infinito faceva a botte con la finitezza delle cose. Per tanto che verità dovremmo andare a cercare? Uno dei suoi migliori allievi, Zenone, sostenne gli argomenti del maestro attraverso i suoi noti paradossi.

L’essere da Parmenide ad Heidegger – passando per Kant – è stato croce e delizia della metafisica (l’insieme di tutti gli argomenti filosofici che non possono essere misurati). Esistono dei problemi riguardo la sua natura contraddittoria. Il divario tra la ragione e i sensi, che deviano nella via dell’opinione è stato un argomento che si porta tutti i suoi strascichi anche oggi. Platone da questo punto di vista si colloca tra l’essere parmenideo e il divenire di Eraclito (per il filosofo tutto scorre, nulla resta uguale, noi vediamo dei passaggi finiti e per questo ogni tanto saltano fuori i paradossi). Platone invece considera l’essere è un’idea tra tante altre. Senza contare poi che il soggetto non corrisponde al predicato: io posso identificare una pietra, ma quella pietra non è l’idea universale di tutte le pietre. Quelle che il nostro filosofo chiama “idee” noi oggi le interpretiamo come “concetti”. La vita corporea, intesa da Platone come «malattia dell’anima», ci impedisce di andare dritti alle idee; solo dopo la morte si torna ad uno stato di «salute», ovvero nel Iperuranio, il regno delle idee. Il filosofo non credeva necessariamente all’esistenza di una sorta di paradiso, semplicemente faceva largo uso del mito e a volte anche dell’ironia, per spiegarsi meglio.

Proseguiamo allora con il concetto di anima. I Greci la chiamavano psiche, noi possiamo considerare il senso moderno della parola come sinonimo di anima in questa sede. Allora non esisteva questa distinzione. Non è detto che sia errato farlo anche oggi. Secondo Democrito la psiche è composta dalle stesse sostanze del corpo – gli atomi – «io sono corpo e anima» dirà Nietzsche. Non si può separare la mente dal corpo in quanto quest’ultimo la determina. È attraverso i sensi corporei che la mente elabora e interpreta la realtà. La sensazione è data dal contatto dell’anima con le emanazioni delle cose, producendone una visione apparente (conoscenza oscura) mentre il pensiero a prescindere dai sensi riconosce il reale movimento degli atomi producendo una genuina conoscenza. Non tutte le proprietà che noi attribuiamo alle cose esistono veramente negli oggetti. Non esistono dolce e salato in natura; sono le particolari conformazioni atomiche (chimiche, diremmo oggi) a determinare la sensazione del gusto. Da qui la distinzione tra proprietà oggettive e soggettive degli oggetti; le prime esistono di per sé perché quantitative e non mediate; le seconde esistono solo mediante una interpretazione – cognitiva, diremmo oggi – delle cose.

Allora il problema si sposta oltre. Già nel Eutifrone, Platone descrive un Socrate sempre attento all’ essenza, come nel caso della “santità” ch’è il contrario di “empietà”. Se questa consiste nel compiacere gli dei pare poca cosa; senza contare che gli dei non hanno bisogno di ricevere benefici dagli uomini, che anzi li ricevono da questi. Da qui lo studio dei nomi – nel Cratilo – e sull’essenza del loro significato, origine e rapporto con la realtà (etimologia). Nel rapporto tra parole e cose, i nomi ne sarebbero l’essenza. Per Ermogene, allievo di Socrate, i nomi sono derivati da convenzioni culturali; qualunque cosa la gente pensi, ognuno partecipa di una medesima verità. Nel Cratilo è centrale il problema di trovare al di là di tutto, l’essenza profonda della cosa nominata, andando oltre l’interfaccia dei termini, i quali possono anche mutare nel tempo. Il senno sta al intendimento, alla cognizione di movimento. La scienza sta alla conoscenza «l’anima, quella degna di considerazione, tiene dietro … alle cose che sono in movimento e non lascia indietro e nemmeno corre loro innanzi». Riflettendo bene (col senno di oggi, visto che siamo in tema) sembra che si parli di un cursore, che legge una riga di input, la quale scorre eternamente; «like a bridge over trouble water» direbbe qualcuno. Ma questo “ponte”, questo “cursore”, deve continuamente subire lavori di manutenzione e restauro se non vuole essere travolto nel caos della corrente. È la nostra mente.

Quanto può esserci utile l’indagine scientifica in queste acque agitate? Per Platone la scienza, ovvero l’epistéme è rispecchiamento dell’essere (come rivedremo addirittura in Lenin). Dal momento che i sensi ingannano allora l’epistéme/scienza può fondarsi solo sulle idee/concetti. Dato che parliamo di rispecchiamento, di qualcosa che viene riflesso, ecco chegli oggetti non sono altro che copie imperfette di modelli perfetti e immutabili, che sono appunto le idee. Ciò lo si poteva dedurre constatando, per esempio, che non esistono triangoli equilateri in natura. Come abbiamo quindi concezione delle idee?

97415455Semplicemente – secondo il filosofo – conoscere è ricordare. Platone credeva nella metempsicosi (reincarnazione) delle anime, che durante il passaggio da un corpo all’altro, avevano accesso al iperuranio. Nel mito della caverna, che appare nelRepubblica, abbiamo una visione molto chiara ed emblematica della precarietà della conoscenza rispetto alla verità. Colui che si libera dalle catene ed esce fuori ad ammirare le cose come esse sono e non le loro ombre, torna poi dentro ad avvisare gli altri; ma non è più abituato all’oscurità, è goffo, i suoi compagni non gli credono. Questa è anche l’allegoria del filosofo – magari di Socrate – secondo Platone.

Non a caso nel Timeo Platone fa coincidere la filosofia con la matematica (che resta comunque subordinata alla metafisica). «La natura è geometria». Per Pitagora invece la natura è aritmetica; l’arché di tutte le cose (l’origine, la sostanza alla base del tutto) era per lui il numero. La scoperta dei numeri irrazionali – già dei pitagorici – mette in crisi questa concezione. Il cambio di prospettiva viene fissato negli Elementi di Euclide, coi suoi assiomi e definizioni. Nel Teeteto è argomento di non poco interesse il problema di stabilire cosa sia la scienza, che qui si ingloba nella conoscenza. Platone presenta tre possibili definizioni, nel quale il suo Socrate si cimenta: la scienza o conoscenza come sensazione; come opinione vera; come opinione vera sostenuta dalla ragione. Socrate critica la prima definizione che fa affidamento alle sensazioni e alle esperienze soggettive; troviamo qui interessanti anticipazioni a temi moderni della sociologia, oggi noti comeeuristiche, ovvero le strategie conoscitive a basso sforzo cognitivo (luoghi comuni e pregiudizi). Non possono insomma esistere molteplici verità, né verità consolidatesi sulla comune superficialità.

Il Socrate di Platone considera così la conoscenza come opinione vera sostenuta dalla ragione; ovvero, fatto tesoro della seconda definizione, con la maieutica (l’arte socratica di conoscere attraverso il dibattito, ovvero la dialettica) occorre scavare al di là delle sensazioni. Vanno intimamente cercate le cause e l’essenza delle cose. Tuttavia nessuna di queste definizioni soddisfa pienamente. Consola invece lo stimolo alla ricerca, quindi a trovare un metodo corretto per indagare il vero.

ETICA E POLITICA

accademiaNel pensiero di Platone è fondamentale il concetto di techne (la tecnica). Ovvero tutte quelle pratiche comunemente accettate, che rendevano possibili le arti e i mestieri. L’areté (la virtù) per il filosofo è una forma di techne; c’è un rovesciamento della massima di Protagora «l’uomo misura di tutte le cose», in quanto se ci rapportiamo agli oggetti, essi stessi ci danno una misura. Gli oggetti a loro volta al di là del loro eidos (aspetto) hanno una misura nell’essenza, che per Platone era l’idea stessa di quell’oggetto. Se per Democrito ed i sofisti le idee sono un parto della psiche – misura di tutte le cose – nel pensiero platonico queste stanno al di là di noi, nell’Iperuranio, il mondo delle idee. L’idea è presente nell’oggetto, ma differisce da esso.

Così come è possibile apprendere e trasmettere le tecniche, allo stesso modo sarà possibile apprendere e divulgare le virtù etiche e politiche. La trasmissione delle idee evidentemente non è un travaso, dal momento che il maestro non diventa ignorante man mano che insegna agli allievi. Così come non è possibile cominciare una ricerca partendo completamente da zero. Se ci interessiamo ad apprendere qualcosa, evidentemente abbiamo già delle aspettative sull’oggetto.

Per Platone – ed è questo un punto fondamentale – anche uno schiavo può apprendere, tanto quanto un aristocratico, le tecniche, quindi anche le virtù
. Nell’universo ciclico dei Greci la psiche è un demone che abita nell’eidos corporeo; noi eravamo parte dell’Iperuranio e siamo destinati a tornarci.
Conoscere è sempre una forma di reminescenza. Attraverso il mondo apparente degli oggetti, noi riusciamo a riconoscere una parte delle idee del mondo trascendente delle idee. L’idea di Platone è l’equivalente del “concetto”. I concetti sono ad un livello normativo superiore alle cose; altro punto fondamentale, perché ci permette di separare – diremmo oggi – due livelli differenti: il linguaggio ed il metalinguaggio (grammatica). Il paradosso del mentitore «tutti gli ateniesi sono bugiardi» si supera tenendo conto che il concetto di “ateniese” si pone ad un livello normativo superiore, quindi anche se a dirlo è un cittadino ateniese, la nostra mente non va in tilt.

La natura ci pone davanti continuamente dei problemi, che noi possiamo risolvere attraverso l’apprendimento, ne consegue una modifica da parte nostra della natura, ed il ciclo continua all’infinito. Un’opinione retta è possibile solo attraverso la prassi (la pratica, l’esperienza diretta). Detto alla maniera dei nostri giorni:

Non esiste un’etica che prescinda dalla comunità, perché ogni situazione è misura delle nostre azioni, a prescindere dalla morale, che dipende dal 
Super Io sociale (la coscienza collettiva, il senso comune) ed opera in un ambito prettamente personale. La situazione come misura di tutte le cose è assieme rovesciamento e messa a congedo del pensiero sofista.

logo_cnmc_dea_giustiziaSe la virtù è la tecnica dell’anima e la tecnica ha come misura il mondo, la giustizia non può che derivare dall’esercizio delle funzioni del cittadino. Nella Grecia di Platone l’uomo non è più multidimensionale; ognuno si specializza, lo impone la crematistica (l’economia basata sul profitto) e l’irrigidimento del sistema politico in forme sempre più autoritarie e oligarchiche. La giustizia, secondo il nostro filosofo, è fare ognuno il suo dovere, mentre l’ingiustizia sta nella negligenza. Essa è una funzione sociale, lo si vede particolarmente nel Repubblica, la massima opera di Platone. Se la teoria contrattualistica moderna (lo stato come originato da un contratto sociale tra “liberi” individui fondato sul reciproco egoismo) – nel quale possiamo intravedere non pochi richiami ai sofisti – pone il singolo in primo piano rispetto al gruppo, facendo della giustizia un mero strumento di difesa; nel Repubblica la giustizia è armonia delle funzioni sociali. Potremmo dire che l’idea di giustizia è una funzione normativa che si pone ad un livello superiore rispetto a tutte le altre funzioni sociali.

Secondo Platone uno degli elementi che più di tutti minacciano l’armonia sociale è la solidarietà familiare, intesa nel ristretto nucleo parentale; essa dovrebbe essere estesa a tutta la comunità, in modo da non farne elemento di divisione sociale, il problema si risolverebbe mettendo in comune donne e figli. Nella Repubblica di Platone tutti gli esseri umani sono uguali, a dividerli sono solo le attitudini personali. Solo la techne rende diversi; per tanto anche una donna può accedere ad attività considerate “maschili” se ne dimostra le attitudini.

Platone è il primo pensatore a considerare quella che oggi potremmo chiamare “emancipazione femminile” tra i punti fondamentali della giustizia e quindi dell’unità ed armonia sociale. Solo che non poteva accorgersene.

In conclusione possiamo trarre dalla lettura dei dialoghi, tra le varie cose, il seguente insegnamento: L’unico fondamento del potere non può che essere il sapere. Non il bene – secondo Socrate – questo infatti è la giustizia. Solo attraverso la dialettica quindi è possibile stabilire norme e incarichi; la stessa idea del bene non può che evincersi attraverso il processo dialettico, perché lo spirito del tempo è in continuo mutamento, in funzione delle mutevoli situazioni.

VADEMECUM PER VANEGGI: COSE DA SAPERE PER MEGLIO INTERPRETARE I DIALOGHI

P._Oxy._LII_3679Ci vuole una colleganza tra la cosa da trasmettere e l’anima che la riceve. La benevolenza, che oggi possiamo intendere come transfert, è indispensabile tra gli interlocutori. Si può filosofare davvero solo tra amici, Platone parlava precisamente di dialoghi filosofici mediante «confutazioni ben intenzionate».

I dialoghi rimandano al di là di se stessi. Il «farmaco» ha effetto solo verso colui che è preparato a riceverlo. Trattasi insomma di esoteria. Il pensiero è un dialogo dell’anima con se stessa. Il pensiero solitario viene verificato nel confronto con gli altri. Chiameremo questo – e ci prendiamo la responsabilità di questo intrepido neologismo – “cogito estroverso”; “cogito” in senso cartesiano ed “estroverso” in senso junghiano. Cercate su Wikipedia, non posso pensare a tutto io!

Platone quando scriveva teneva sempre conto di quella che oggi conosciamo come estetica della ricezione: Le attese del lettore sono un fattore costitutivo della produzione letteraria – anche la copertina conta – si tratta di un tema che ricorre spesso nella filologia classica. Platone scriveva per tutti coloro i quali fossero predisposti a capirlo a diversi livelli. Insomma per gente colta.

Ogni interpretazione ha un significato secondario. L’assenza dell’autore gli impedisce di difendere l’opera, che rimane in balia degli interpreti. Molto meglio l’oralità. La scrittura essendo una cristallizzazione del pensiero non può scegliersi il lettore e non interagisce dialetticamente. I logoi scritti sono un mero ausilio per la memoria. All’epoca quindi i dialoghi di Platone dovevano essere visti come oggi lo sono i film in 3D; questa tecnica letteraria permetteva infatti di riprodurre il dialogo. Si tratta di rappresentazioni di discorsi vivi. In questo modo possiamo capire che non esiste alcuna contraddizione o cambio di vedute da parte del filosofo, che da una parte criticava lo scritto e dall’altra produsse una marea di testi. Grandi filosofi come Schleiermacher sbagliarono a sostenere che ad un certo punto Platone “cambia idea”. Non esistono “due platoni”.

PER SAPERNE DI PIU’

bibliografiaNel caso chi legge fosse totalmente a digiuno di filosofia, sappiate che tutto ciò di cui sappiamo riguardo al pensiero di Platone ci derivano dai suoi dialoghi. La Newton&Compton ne ha pubblicato una raccolta completa e alla portata di tutti.

Chi invece ha letto non proprio da neofita – magari bestemmiando chiedendosi “che cazzo scrive questo?” può passare in rassegna la misera bibliografia su cui si basa questo articolo, oppure andare a farsi una tisana:

A. V. Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti-Mondolibri, 1993

Cambiano, Platone e le tecniche, Einaudi, 1971

Cassirer, Da Talete a Platone, Laterza, 1984

Ferraris, Socrate, Platone, Aristotele e la Scuola di Atene, Repubblica, 2011

Guthrie, Socrate, il Mulino, 1986

Platone, Cratilo, GTE Newton, 1997

Platone, Eutifrone, GTE Newton, 1997

Platone, Parmenide, GTE Newton, 1997

Platone, Repubblica, GTE Newton, 1997

Platone, Teeteto, GTE Newton, 1997

Severino, I presocratici e la nascita della filosofia, Biblioteca di Repubblica, 2011

Severino, La Filosofia dai Greci al Nostro Tempo, Vol. I, BUR, 1996

Slezàk, Come leggere Platone, Bompiani, 2004

Vigetti, L’etica degli antichi, Laterza, 1989

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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