Caro Buttafuoco, "Buttanissima" dillo a tua sorella

25 Luglio 2014
Redazione YOUng
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ButtafuocoHo appena comprato, al modico prezzo di 12 euro, il libro di Pietrangelo Buttafuoco “Buttanissima Sicilia – dall’autonomia a Crocetta, tutta una rovina”: penso che siano i peggiori 12 euro spesi in vita mia.

Soprattutto quando un libro comincia così:
Adesso basta. Qualcuno – Matteo Renzi? – dica basta, perché l’autonomia sarà pure cosa santa e giusta ovunque ma in Sicilia no, è un flagello e trascina nel baratro l’Italia. Lì l’autonomia regionale, fonte di sprechi e burocrazia, è l’acqua che nutre l’arretratezza economica e sociale di un pezzo importante del Mediterraneo. Ed è la fogna in cui nuota la mafia. Basta dunque. È urgente, infatti, come chiede da tempo Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, nominare un commissario dello Stato al posto del governo regionale di Rosario Crocetta; è fondamentale – per come ha reclamato Antonello Montante, presidente di Confindustria in Sicilia – avere nell’Isola un plenipotenziario che metta mano al bilancio: il default è in agguato ma, seguendo i passaggi di legittimità, è necessario abrogare lo Statuto speciale. Basta, quindi. Lo Statuto sarà pure nella Costituzione, ma questo privilegio, frutto dell’unica e vera trattativa Stato-mafia, può essere tagliato con un colpo di penna. E un colpo di coraggio. Non si può estirpare dalla viva carne dell’Italia un obbrobrio come l’Autonomia regionale che serve solo ai parassiti che ne beneficiano?

Curioso come, parlando di parassiti, Buttafuoco sia riuscito in poche righe a nominare tre dei più grandi parassiti in un colpo solo: Renzi, Crocetta e Orlando (per Montante mi riservo solo di riportare questo link su uno dei suoi testimoni di nozze indagato per mafia). Vorrei far notare inoltre a Buttafuoco che, solo in queste poche righe iniziali, il giornalista de Il Foglio (e da qui già si dovrebbe capire l’elevato spessore) ha già scritto, come si dice a Palermo, una “marina di minchiate”, dimostrando che l’illustre scribacchino, seppur siciliano, non sa nulla dell’Autonomia della Regione Siciliana. Apro una piccola parentesi, anche per Buttafuoco (che forse non lo sa, visto che la menziona sempre come “Sicilia”): non si chiama Regione Sicilia bensì “Regione Siciliana” perché, come spiega il prof. Massimo Costa (che non è un Buttafuoco qualunque), “nasce come riconoscimento di un ente sovrano, sia pure nei limiti dell’alta sovranità dello Stato Italiano. La Sicilia è l’unica “Regione” a essere nata durante il Regno d’Italia. Pertanto la Repubblica non istituisce la Regione ma la riconosce, ciò che è manifestamente diverso. Quindi l’Italia non ha potere originario di istituire (ed eventualmente abrogare) l’Autonomia della Sicilia bensì soltanto di regolamentarla” (tratto dal testo del Prof. Massimo Costa “Lo Statuto Speciale della Regione Siciliana: un’autonomia tradita?” – Herbita Editrice).

Quindi, lo Statuto non può essere abrogato con un colpo di penna. E non c’entra nulla il coraggio.Piuttosto, il coraggio servirebbe nell’ammettere che lo Statuto di Autonomia della Regione Siciliana non è mai stato applicato, se non per l’equiparazione degli stipendi dei parlamentari regionali a quelli nazionali. Allora sì, se esistesse solo per quello, che andrebbe abrogato. Ma quello che Buttafuoco non sa (o non vuole ammettere da bravo ascaro) è che lo Statuto Speciale permetterebbe, con la sua applicazione, di far diventare la Sicilia una della regioni più ricche d’Europa. Ma esso è stato trasformato in un problema dai politici, siciliani e nazionali. Basta fare due più due: la Sicilia è stata ed è ancora terra di voto di scambio e di clientelismo. Con l’applicazione dello Statuto e la conseguente ricchezza del popolo siciliano (che spiegherò con qualche esempio qualche riga più avanti), il clientelismo e il voto di scambio non si potrebbero più fare, perché un popolo ricco non ha bisogno di chiedere favori a nessuno. Ma come potrebbe mai diventare ricca la Sicilia? Intanto applicando, prima di tutto, gli articoli 36 e 37 dello Statuto. Vediamo cosa dicono: ART.36 – Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione e a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima. Sono però riservate allo Stato le imposte di produzione e le entrate dei tabacchi e del lotto. Questo articolo, come dice sempre il Prof. Costa, è il più importante dell’intero Statuto, e infatti, come quello, non è mai stato fatto funzionare. Non c’è scritto che la Regione vive di trasferimenti dello Stato, né di entrate erariali disposte dallo Stato, né di tributi che lo Stato istituisce e poi le lascia manovrare “quasi” come fossero tributi propri come le addizionali.

La Regione si alimenta innanzitutto di entrate patrimoniali, ossia tutte le entrate extra tributarie che derivano dalla gestione del proprio patrimonio. Ne consegue che tutti i benefici di natura patrimoniale, dalle royalties per l’estrazione di minerali e fonti di energia, alle concessioni per l’utilizzo del suolo pubblico, ai fitti per immobili di proprietà pubblica e dati in locazione, ai dividendi per imprese a partecipazione regionale, costituiscono una prima voce d’entrata del bilancio regionale. Ma il politico non ha molto interesse ad ampliare la base produttiva o a razionalizzare la spesa, poiché non può manovrare l’entrata ma ha solo da ripartire una spesa: fatale per chi la utilizzi per spartirla in modo clientelare. Che è ciò che non dispiace ai poteri forti perché, così facendo, fallisce l’istituto autonomistico; l’economia siciliana resta subalterna e dipendente da quella della Penisola, e la rappresentanza politica dell’Isola resta “incatenata” agli ascari che erogano i finanziamenti suddetti senza reale possibilità di alternativa o di ricambio. Chi ha voluto disapplicare o non applicare l’articolo 36 sapeva benissimo ciò che stava facendo, perché dall’applicazione di questo articolo nasce quell’autonomia economia che può far rimettere in discussione i rapporti strutturali di colonialismo che oggi bloccano lo sviluppo della Sicilia. “…a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima”: cosa significa? Cosa sono questi tributi? Semplicemente prelievi istituiti con legge regionale come SE la Sicilia fosse un ente sovrano. In altre parole, in materia tributaria, la Sicilia è uno stato sovrano: ha la soggettualità tributaria attiva, la potestà tributaria, non derivata o concessa dallo Stato, bensì originaria. Nel proprio territorio e sulla propria popolazione, al pari di qualunque stato sovrano, può decidere se e quali tributi istituire, come accertarli, etc. Inoltre, SOLO le entrate da giochi e scommesse, i tabacchi e le imposte di produzione, sono a beneficio dello Stato. Ma fuori da queste entrate, gli altri tributi erariali, e con essi il grosso dell’attuale finanza pubblica, sono completamente illegittimi e incostituzionali: l’Irpef, l’Ire, l’Ires, l’Iva, tanto per limitarci ai maggiori tributi, ma anche il Canone RAI, sono dei veri furti ai danni dei Siciliani, in quanto non previsti dall’articolo 36.

IN SOLDONI: quali i benefici dell’applicazione dell’articolo 36? La fiscalità di vantaggio attirerebbe investimenti da ogni parte del mondo e farebbe ritornare i nostri migranti. Le tassazioni di favore per i redditi che in Sicilia ad oggi non esistono (come i redditi di capitale) attirerebbero capitali ed investimenti praticamente senza nessun costo per l’erario. La responsabilizzazione della classe politica sulle entrate si trasferirebbe prima o poi anche sulle spese che verrebbero razionalizzate La sensibilizzazione dei cittadini nei confronti del nuovo soggetto impositore (regionale) creerebbe nuove aspettative nei confronti di un’amministrazione che oggi invece si “nasconde” dietro al paravento delle politiche finanziarie nazionali.

ART. 37 – Per le imprese industriali e commerciali che , hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed agli impianti medesimi. L’imposta, relativa a detta quota, compete alla Regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima. Questo articolo prevede che, per i rami aziendali (anticamente definiti “stabilimenti ed impianti”), le aziende debbano calcolare la quota di reddito prodotta (come per gli analoghi rami di imprese che hanno la sede “fuori” dall’Italia) e la assoggettino del tutto alle norme del diritto tributario siciliano “sovrano”; sovrano, perché il secondo comma lascia intendere che la Regione non solo determina liberamente sull’imposizione dei redditi, ma anche sugli accertamenti e le riscossioni, e lo fa con “gli organi riscossione della medesima”. Quali i vantaggi di questo articolo? Innanzitutto i Siciliani cesserebbero di alimentare inconsapevolmente, con i loro tributi, la Penisola, come è avvenuto sinora. Chi dice che la Sicilia vive di risorse prodotte altrove, letteralmente non sa quel che dice. Attraverso la mancata applicazione dell’articolo 37, la Sicilia, da più di sessant’anni, povera com’è, si svena letteralmente per alimentare (NB: alimentare) lo Stato italiano e i suoi sprechi. Tornando alle parole di Buttafuoco: “L’autonomia regionale è la fogna in cui nuota la mafia”. Be’, è opinione diffusa (riporto le parole di due grandi sicilianisti, l’avvocato Roberto La Rosa e il professore Massimo Costa) che attuare l’Autonomia è un qualcosa che, come l’indipendentismo, conviene soltanto alla mafia. Il fatto che l’Autonomia preveda l’abolizione del Prefetto, e il fatto che il Presidente della Regione dovrebbe essere il capo della polizia in Sicilia, avvalora ancora di più questa opinione. 

Quindi, se fosse veramente autonoma, la Sicilia sarebbe dominata dalla mafia, gli imprenditori pagherebbero il pizzo, ci sarebbe del sottosviluppo e addirittura potrebbero uccidere dei magistrati. MENO MALE CHE NON È SUCCESSO NULLA DI TUTTO QUESTO! E la ciliegina è la frase “È urgente, infatti, come chiede da tempo Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, nominare un commissario dello Stato al posto del governo regionale di Rosario Crocetta”. Questo endorsement a Orlando? Tipico di chi crede che Leoluca Orlando Cascio (non più Cascio per non far sapere che suo padre è stato, come disse Pio La Torre, “uno tra quelli che più organicamente hanno espresso il sistema di potere mafioso”) sia una politico anticasta, onesto e soprattutto antimafia. 

Da un politico anticasta, che già ha una pensione da quando aveva 42 anni, ti aspetti che faccia il sindaco “gratis, per amore di Palermo” (come una sua richiesta di far lavorare ultimamente i giovani professionisti palermitani). E invece percepisce uno stipendio da sindaco di diecimila euro, il più alto di Italia. Leoluca Orlando onesto? Talmente onesto da intestare tutto alle figlie per risultare nullatenente per non essere pignorato? Leoluca Orlando antimafia? Talmente antimafia da accusare Falcone di tenere nei cassetti le carte su omicidi eccellenti? Ma forse questo endorsement di Buttafuoco serve ad anticipare la candidatura di Orlando a governatore della Sicilia, visto che come sindaco gli è andata peggio dell’ultima amministrazione Cammarata (basti pensare al tram, opera inutile cominciata con Cammarata e sotto quest’ultimo contestata ferocemente da Orlando, e sotto l’attuale sindaco elogiata dallo stesso con tanto di spot autocelebrativo). Se poi aggiungiamo che Buttafuoco promuove il suo libro invitando Claudio Fava, abbiamo la conferma: Buttafuoco non sa una beata fava (scusate il gioco di parole) della Sicilia e del suo Statuto. Perché questo post? Perché dopo aver speso 12 euro per leggere minchiate sulla propria terra, da un ascaro che scrive per Giuliano Ferrara, un po’ ti girano le palle.

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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