Il ciclismo è nel tunnel del doping e non so come ne uscirà

29 Luglio 2014
Redazione YOUng
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Il mondo del ciclismo è particolare, anche i suoi tifosi lo sono. Anche io da piccolo seguivo la stagione estiva con passione, ricordo la delusione per la squalifica di Pantani al giro d’Italia del 99 nella penultima tappa. Nella mia testa non volevo ammettere che Marco si fosse dopato volontariamente, la mia ingenuità di bambino non capiva o non voleva capire l’influenza del doping in questo sport.Adesso è difficile non arrendersi all’evidenza, molti appassionati probabilmente pervasi da una sincera ingenuità cercano di non pensarci, altri negano l’evidenza, altri convivono con la questione.

L’albo d’oro del Tour de France, per esempio, è stato più volte corretto, vincitori come Armstrong e Contador si sono visti cancellare i loro successi, campioni come Basso e Ullrich sono stati squalificati, è mai possibile applaudire un vincitore senza conoscere la lealtà dei suoi successi? È giusto che l’esito di una gara sportiva sia ribaltato a posteriori dai controlli anti-doping?

Una serie infinita di casi legati alle sostanza proibite hanno gettato più di un’ombra su questo sport, l’utopia di un ciclismo veramente pulito rimarrà sempre tale, quindi mi sono chiesto se fossimo arrivati al punto di legalizzare il doping, perlomeno per creare un rapporto con i tifosi basato sulla sincerità. Ho subito pensato che fosse la scelta giusta, è inutile prendere per il culo il mondo intero, i ciclisti si dopano tutti, il primo passo è ammetterlo. Inoltre pensavo che magari l’ammissione di colpa avrebbe scatenato un grande senso di imbarazzo nei ciclisti e nelle federazioni ( consapevoli e complici come l’ Unione Ciclistica Internazionale con Lance Armstrong), un imbarazzo e una presa di coscienza necessari per rendersi conto del tunnel pericoloso che avevano imboccato.

Poi però ho capito che tutto questo non potrà mai avvenire e forse sarà giusto così. Legalizzare il doping potrebbe portare ad una gara tra sostanze dopanti, vincerebbe chi si droga di più, sarebbe una corsa per sintetizzare la sostanza migliore, con i ciclisti usate come cavie da laboratorio assetate di vittoria a tutti i costi. Adesso è più o meno così, ma tutti cercano di nascondersi senza ammettere mai le proprie colpe, con occhi ingenui che si chiudono e titoli di giornale che proclamano Nibali come la speranza di un ciclismo pulito.

Il punto è che la salute dei ciclisti è sempre a rischio, la legalizzazione aumenterebbe questo rischio e eliminerebbe ogni senso di pudore, vincerebbe la sincerità ma di sicuro non lo sport. Comunque non sono ancora convinto di quale sia la soluzione giusta, ma sono sicuro che se aspettiamo che il ciclismo con gare di 20 tappe in 21 giorni si ripulisca da solo, allora aspetteremo invano.

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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