Mitologia greca: Circe

1 Agosto 2014
Redazione YOUng
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Charles Hermans - Circe (1839)

Charles Hermans – Circe (1839)

Circe era una maga ma, prima di tutto, era una femmina tutta passione. La conosciamo fondamentalmente dai racconti di Omero, in quanto questi la annovera fra le mille distrazioni che ebbe Ulisse nell’Odissea prima di ritornare a casa dalla lunga guerra contro Troia.

Circe era figlia di Elio, il sole, e di una ninfa, Perseide. Poteva, con dei natali così particolari, non essere una donna fuori dall’ordinario? Ma le sue parentele non sono finite qui, la famiglia di Circe era davvero bizzarra. Sua sorella era Pasife, la moglie del famoso re Minosse, quello del labirinto e del Minotauro. Pasife era la madre naturale del Minotauro, la creatura metà uomo e metà toro nata dalla passione amorosa fra Pasife e, appunto, un toro. Il fratello di Circe era Eete, il terribile re della Colchide, padre di Medea. Quindi Circe, al di là di una sorella un pochino strana nei gusti sessuali, aveva anche una nipotina tendente alla gelosia esagerata, perché Medea fu quella che uccise i figli per punire il tradimento del marito.

Visto l’albero genealogico, non ci vuole molto a capire di quale pasta fosse fatta la nostra maga.

Viveva nell’isola di Eea, più o meno il capo Circeo, in Italia. Aveva il curioso vizio di trasformare in animali chiunque le desse fastidio o non ricambiasse il suo amore. Pare che un tale re Pico si ritrovò con penne, piume e becco di picchio solo perché non volle amarla; un altro re, Glauco, divinità marina, ebbe un bello scherzetto da parte di Circe: si rivolse a lei per un filtro magico per ammaliare Scilla, ma non fece bene i conti con il fatto che Circe fosse femmina, prima che maga. Infatti lei si innamorò di Glauco e, rifiutata, invece della pozione per fare innamorare Scilla, fece un incantesimo alla povera ragazza che si ritrovò a fare per sempre il mostro marino insieme a Cariddi. Se passate dallo Stretto di Messina, sicuramente troverete i due mostri ancora lì a farla da padroni. Altro che ponte!

E tali e tanti sono i racconti su Circe che non basterebbe un giorno per raccontarli tutti. Ma il racconto più bello di lei e della sua passione è sicuramente quello che la lega ad Ulisse, re di Itaca e sposo infedele di Penelope.

Nel lungo peregrinare prima del rientro in patria, Ulisse, come dicevo, incontra nel suo destino Circe e non certo in un modo tranquillo e normale. Sbarcato sull’isola di Eea con il suo equipaggio, Ulisse mandò una piccola avanscoperta con a capo Euriloco. I marinai si addentrarono nella lussureggiante vegetazione, fin quando non arrivarono ad un castello al cui interno stava una donna che tesseva al telaio cantando. Era Circe che, con un fascino irresistibile, invitò i marinai a restare a pranzo. Tutti accettarono tranne Euriloco che, guardingo, rimase fuori. E meno male, altrimenti non avrebbe mai visto quello che vide: ai primi bocconi del pasto, i marinai si ritrovarono trasformati in porci dopo alcune percosse con un bastone da parte di Circe. Euriloco tornò di corsa ad avvisare Ulisse. Questi decise di salvare i compagni e, fortunato, incontrò il dio Ermes che gli offrì un fiore, il moly, da mangiare per scongiurare ogni incantesimo della donna. Non so bene se il fiore fu mangiato o solo annusato, fatto sta che Ulisse, dopo aver incontrato Circe, mangiato con lei e ricevuto le stesse vergate dei compagni, non si tramutò in maiale ma rimase abbastanza uomo da sguainare la spada.

Circe, in lacrime e sicuramente fra lo stupito e lo spaventato, supplicò il re di risparmiarla e gli offrì in cambio se stessa e il regno sull’isola. Ulisse pretese, però, che venissero prima liberati i suoi amici dall’incantesimo. E così fu. L’offerta di Circe, però, non era meramente sessuale. Lei gli offriva una cosa rara allora come ora: la fiducia dell’animo, quella fiducia che, se sincera, spezza le spade sguainate e addolcisce persino i cuori più ruvidi.

Vissero insieme un anno -chi dice un mese- ed ebbero un numero variabile di figli: di sicuro, Telegono e la dolce Cassifone, quella che la leggenda vuole assassina dello stesso Ulisse molti anni dopo del suo ritorno ad Itaca. Qualcuno ci mette anche altri due pargoli, gemelli di Telegono, tali Agrio e Latino.

La vita tormentata di Circe non finì certo con quell’anno d’amore ma sicuramente per lei e per Ulisse fu un momento di perfezione. È vero, poi intervenne il buonsenso travestito da compagni marinai frignoni che volevano tornare a casa, ma nulla mi toglie dalla testa che quei due non si sarebbero voluti lasciare mai. E lì, Circe, proprio lì, proprio in quel momento, mostra al mondo ed ai posteri tutta la sua grandiosa umanità ed il suo straordinario amore: non solo lascia andare Ulisse ma gli dà le dritte giuste per il ritorno e lo convince persino a fare il viaggio nell’Ade, il regno dei morti, per scambiare due chiacchiere con l’indovino Tiresia al fine di conoscere come stava messa la situazione ad Itaca. La maga crudele, la donna cieca di passione che aveva alle spalle più amanti trasformati che amanti felici, con Ulisse -di sicuro l’uomo della sua vita- diventa quella che nessuno mai si sarebbe aspettato: niente vendette, niente incantesimi, niente furore di gelosia. Solo tanto amore, così tanto da avere la forza di strapparsene un pezzo e lasciarlo andare lontano, consapevole che, da lei, non ci sarebbe stato ritorno.

Quindi Ulisse, salutata la sua amante, riprese il cammino per Itaca, dove avrebbe trovato la fedele Penelope a tessere e disfare la stessa tela per 20 anni in attesa del suo amato sposo. Ammirevole, Penelope. Ma non dimentichiamo che aspettava da regina, quindi il suo era metà amore coniugale e metà amor patrio, quasi più un dovere che un’emozione.

Ammirevole donna, Penelope, nella sua paziente attesa del Re della sua reggia. Più ammirevole Circe, il cui ricordo è spesso legato alla figura della donna “altra” quando, invece, solo un grande amore ha la forza della rinuncia, in nome di un dovere di cui non si è nemmeno parte.

Quanti rinuncerebbero alla propria felicità per quella altrui?

L'AUTORE
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