MITOLOGIA GRECA: AMORE E PSICHE

19 Agosto 2014
Redazione YOUng
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Amore e Psiche. A. Canova (1788-1793) Louvre-Parigi

Amore e Psiche. A. Canova (1788-1793)
Louvre-Parigi

C’era una volta una ragazza bellissima di nome Psiche. Era così bella che tutti la paragonavano ad Afrodite. Anzi, a furia di fare confronti, molti arrivarono persino a chiamarla proprio Afrodite, come la dea della bellezza. La fama di Psiche si espanse a tal punto che Afrodite in persona venne a sapere dell’esistenza di questa fanciulla e, permalosetta com’era, non la prese affatto bene; e meditò vendetta.

Chiamò a sé suo figlio Eros e lo costrinse a raggiungere Psiche per punirla in un modo atroce: Eros avrebbe dovuto scagliare una delle sue famose frecce amorose e far sì che l’uomo più brutto e sgradevole del mondo si innamorasse della bella Psiche. Eros obbedì alla madre ma sbagliò e, accidentalmente, colpì se stesso ad un piede. Così rimase folgorato d’amore per la ragazza. C’è anche chi sostiene che non ci fu errore ma proprio Eros si innamorò di lei appena la vide. Come biasimarlo, nel caso? La sua amata era bella che più bella non si può.

Consapevole del fatto che avrebbe fatto arrabbiare la madre Afrodite, Eros decise di far rapire Psiche da Zefiro perché la portasse in un castello incantato. Lì, con il favore delle tenebre, Eros e Psiche si sarebbero amati in assoluta libertà. Unica condizione posta dal dio dell’amore era quella che la ragazza non potesse mai e poi mai conoscere l’identità del suo sposo. E così fu, con grande felicità di entrambi. Eros andava nel castello tutte le notti e tutte le notti amava la sua donna. Lei, dal canto suo, era felice di questo menage, nonostante una briciolina di curiosità. Però il gioco non valeva la candela-avrà pensato-e se ne stava lì, tranquilla e serena, tenendo a bada la sua curiosità, soddisfatta di godere delle gioie del suo talamo. Forse un amore po’ anomalo; ma cosa importava, poi, se era felice lo stesso?

Finché Psiche rispettò i patti, cioè quelli di rimanere nella totale ignoranza del suo amato, tutto filò liscio come l’olio: i due innamorati erano davvero al settimo cielo. Lui, puntualissimo, arrivava da lei ogni notte e lei, trepidante, lo aspettava con il corpo e con il cuore. Ma le sorelle (o amiche che fossero), sicuramente invidiose di quell’appagante relazione, facevano leva sulla curiosità di lei, istillandole il dubbio che non fosse legittimo un amore così. Eros aveva provato a preservare Psiche dalle chiacchiere malevole ma, purtroppo, giunse il momento in cui la ragazza si lasciò convincere e si mise in testa di voler conoscere le fattezze del suo amato.

Una notte, mentre Eros dormiva beato, Psiche si avvicinò a lui portando con sé una lanterna ed un pugnale. Le sorelle le avevano persino detto che il nascondersi del suo amante poteva essere benissimo sintomo di chissà quale bruttezza o, peggio, cattiveria. Appena lo vide alla luce della lampada, si emozionò. Non so se lo riconobbe in quanto dio dell’amore ma sicuramente rimase senza fiato per la bellezza e dolcezza dei lineamenti di lui. Tanto fu lo stupore che le tremò la mano ed una goccia di olio della lanterna cadde accidentalmente su Eros. Questi si svegliò e, come minacciato più volte, se ne scappò via. A nulla valsero le suppliche di Psiche né l’amore che entrambi provavano l’una per l’altro: i patti erano stati violati, quindi il legame era infranto. Afrodite, alla quale la ragazza si rivolse disperata, ancora più arrabbiata con la bella (ora ex) nuora mortale, le disse che avrebbe dovuto superare tutta una serie di prove per i più svariati motivi: placare l’ira degli dei, dar prova della sua dedizione e riabilitare il buon nome di Eros che certo non ci faceva una bella figura a fare il fidanzatino di una mortale qualunque.

La ragazza accettò e ne passò davvero di cotte e di crude ché Afrodite non fu tenera nell’inventarsi prove di astuzia e coraggio. Ma, forse perché era bella, forse perché un cuore innamorato intenerisce sempre, Psiche poté contare sull’aiuto della natura e del mondo: formichine, canne verdi e persino una torre animata le diedero le dritte giuste per arrivare vittoriosa alla fine di tutte le prove.

A quel punto, Zeus in persona, visti gli ottimi risultati conseguiti dalla giovane, si mosse a compassione, la invitò sull’Olimpo e, oltre a donarle l’immortalità, benedì l’unione fra lei ed Eros. Come in ogni favola che si rispetti, vissero tutti felici e contenti.

Che cosa resta dell’amore, quindi, se pretendiamo di passarlo sempre al vaglio della conoscenza e della ragione? Forse è meglio godere della felicità, anche a costo di non capire da dove ci provenga e perché.

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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