Non è il solito articolo strappa-lacrime sul Salento

20 Agosto 2014
Davide Di Lorenzo
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Se questo fosse un articolo su Vice.com probabilmente, anzi no, sicuramente, il suo titolo sarebbe stato: “Il Salento è il Paradiso”. Di articoli su quanto sia bello il Salento, su quanta goliardia alberghi nei suoi campeggi, sulla simpatia e l’accoglienza che ti riserveranno i suoi abitanti (salvo qualche piccola eccezione se sei napoletano) ne sono stati scritti più di quelli sull’inutilità e la dannosità dell’esistenza di Borghezio: perché continuare a leggerlo allora? In realtà non so darvi un unico ed esaustivo motivo valido se non quello che questa sorta di micro-diario (speriamo non troppo smielato) è stato scritto da uno yuppie-wannabe che si aspettava di andare incontro alla più terrificante manifestazione del conformismo anticonformista, a un numero di insetti superiore a quelli mangiati da Andrew Zimmern, all’enclave estiva di Piazza Bellini e a sfiorare l’HIV ogni volta avesse messo piede in un bagno turco e che, invece, si trova qui a raccontare quello che forse è stato il viaggio più divertente della sua vita.

Eravamo in tre, di cui uno con la febbre, steso sul sedile posteriore con lo stomaco ripieno di più principi attivi di quelli da studiare per l’esame di farmacologia 1. 36° centigradi e l’impossibilità di accendere l’aria condizionata che avrebbe provocato la morte imminente dell’uomo con le tonsille talmente grandi che sono state sponsorizzate dalla Spalding. La linea internet del telefono va e viene, decido di leggere le recensioni del Campeggio Frassanito su TripAdvisor, la prima: “Oh mio dio mai più. Il mio migliore amico in campeggio è stata una blatta gigante, nei bagni abita il Golgota e all’ingresso il buttafuori pretende l’obbligo di Dreadlocks. Solo Punkabbestia e rimastini!” Ecco qua, lo sapevo. La macchina sembrava un misto tra quella che in Le Iene trasporta Mr. Orange ferito e una DeLorean diretta verso il 1968. Dopo circa 6 ore di viaggio, durante le quali siamo stati allietati dalle magiche polveri dell’ILVA (“eh ma a Taranto si muore perché si fuma tanto”) arriviamo al Campeggio Frassanito, ad Otranto.

Da subito capisco che niente era come me l’aspettavo: ragazze che sghignazzano all’arrivo dell’auto come nei College Movies americani, gli insetti che erano tenuti lontani dalle tende probabilmente con un accordo simile a quello che teneva distanti anche i carabinieri, il mare azzurro, la spiaggia infinita, il rustico leccese al bar che conteneva più calorie della palla di zucchero filato di Homer Simpson.IMG_20140812_105852

I punkabbestia, sì, i “PUNKABBESTIA” della recensione, erano solo ragazzi simpaticissimi, disponibili e troppo fatti per provare alcuna indole iraconda (tranne un cretino che rimbalzava per le tende cercando di rubare formaggio alle 6 del mattino). Nel campeggio regnava quella che definirei una moderata anarchia: le regole erano poche, praticamente nessuno a sorvegliarne il rispetto, centinaia di potenziali elementi che secondo i canoni della società contemporanea dovrebbero viverne ai margini, eppure: regnava la pace. Il motivo era molto semplice. L’equilibro era mantenuto dall’esigenza stessa di una convivenza civile. Un furto avrebbe scatenato una reazione a catena che avrebbe imposto a tutti più elevate soglie di ansia e di attenzione che avrebbero rovinato la magia del posto. Un elemento troppo molesto, come il glabro consumatore di Krokodil cui vi ho accennato, avrebbe costretto le ragazze ad essere in tensione e l’intero campeggio a modularsi su un grado di diffidenza reciproca assai più alto. Tutti, dunque, difendevano tutti, nel proprio interesse, che, come in un’utopia moriana, corrispondeva perfettamente a quello collettivo. Il risultato era una riproduzione in scala di una società dove la coercizione e il controllo era divisa tra i “cittadini” piuttosto che relegata al suo esterno e, vi assicuro, non funzionava affatto male. Ora però chiudiamo la parentesi socio-politico-riflessiva e torniamo al degenero.

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Ho scelto uno ed un solo evento per descrivervi tutto, sennò invece di un articolo scrivevo un libro: la notte della Pizzica. Direte ecco qua, la classica cosa su quanto sia bella la pizzica, lu Salento e triccheballacche: no ragazzi no. Qui il fatto è serio (e la foto sfocatissima rende bene l’idea), io penso di non essermi mai divertito come in un cerchio di pizzica e io, vi giuro, odio ballare; odio ballare al punto che per me la filosofia sulle piste da ballo è quella di Bill Hicks: “Real men don’t dance, they seat sweat and curse”.

IMG_20140820_120214 La notte della pizzica è come una gilda medievale. Una di quelle che vengono organizzate per festeggiare un ottimo raccolto e non per celebrare la vittoria di una battaglia: senza vincitori né vinti. Anche un “cynical asshole” come il sottoscritto ha percepito come pochissime altre volte era successo che tutti eravamo uguali in quei cerchi di carne, tutti. Persino due ragazzi in sedia a rotelle si dimenavano aiutati da tutta la folla che oltre alla gioia sembrava aver loro restituito per qualche ora anche le gambe. Il vino è di tutti, nessuno è geloso della propria donna che balla, il litigio è come la pudicizia di Valentina Nappi: NON ESISTE! Dopo le danze stremanti avevamo fame come non mai e ci rimanevano solo 3 euro, sufficienti per un panino con pezzetti di cavallo. Quello che però abbiamo ottenuto al bancone della cucina sono stati almeno 5 piatti di pezzetti, verdure alla brace, due bottiglie di vino, polpette fritte sufficienti a sfamare Galeazzi, abbracci, gioia, canti e altre danze.

Nello sport il più profondo gesto di rispetto verso un avversario è scambiare con lui la maglia da gioco. Io, quella sera, indossavo la mia maglietta da calcio, quasi, preferita,  (l’unica rimasta pulita in borsa dato che si trattava dell’ultima notte): quella di Marek Hamsik (tranquilli ne ho un altra). La mandibola mi faceva male per quanto avevo riso, masticato e bevuto, i polpacci vibravano ancora per l’acido lattico e quando io e uno dei gestori del chiosco ci siamo scambiati le maglie (sì, ora giocherò a calcio con una polo della Notte della Pizzica) l’ho visto commuoversi (chiamate Barbara D’Urso che qua ci fa una puntata intera).

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Chiudere la tenda è stato triste come la fine di una di quelle puntate flatulenti di OC con la colonna sonora di Jeff Buckley, prima di compiere 14 anni. Salutare i nuovi amici era come salutare gli amici di una vita. Se facciamo esclusione per la cassiera del campeggio che di fronte a un sorriso ci ha etichettati come “i soliti napoletani” solo perché il suo terminale bancario funzionava peggio del digitale terrestre quando piove, a un paio di rimastini troppo molesti e a quanto facciano schifo le Dancehall che ogni 20 secondi vengono interrotte da un urlo o una sirena:

Frassanito è il Paradiso.

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