Contro Twitter.

27 Agosto 2014
Redazione YOUng
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Ho un rapporto complicato con Twitter: sono anni che cerco di capirne il senso, la struttura, le potenzialità. Un mezzo molto semplice, immediato, alla portata di tutti. Poche parole, un hashtag, un link, qualche nome: una comunicazione essenziale, ridotta ai minimi termini.

Ho creduto malvolentieri per anni all’interpretazione di Dom Sagolla, uno degli ideatori di Twitter:

We stand at a frontier in writing. This wilderness grows wilder and less civilized as more and more writers create more and more content.We must establish a form to this frontier, and develop 140 characters as a standard worthy of the word literature.

Sagolla, Dom (2009).
140 Characters: A Style Guide for the Short Form

Ammetto le mie colpe, ma d’altronde in quegli anni la semplificazione e la sintesi sembravano essere sviluppi auspicabili nel mondo dei contenuti online, ridondanti, frastagliati, caotici, disorganizzati.

Oggi non solo rifiuto, ma considero la “short form” una fastidioissima involuzione dell’espressione in Rete.

Il linguaggio dei social è basato sulla ricerca di consenso, prodotto e consumato nello stesso luogo: il network. Che si tratti di Facebook o Twitter, Instagram o Google+, sono luoghi in cui si produce consenso.

Gli utenti utilizzano una sorta di dialetto, un proprio codice che ha una funzione estremamente riassuntiva. La ricerca della sintesi, della brevità, si incastra perfettamente con le esigenze di velocità dei luoghi in questione.

L’immagine diventa meme, la parola diventa hashtag, le reazioni vengono ridotte ad acronimi. Pillole di contenuto che in realtà sono concentrati di collegamenti ad altri universi di significati.

Uno strumento semplice – questo linguaggio – che ha la pretesa di uscire dal luogo di nascita per imporsi come codice universale: abbatte il confine tra la narrazione della realtà all’interno e all’esterno del network. Comodo per gli utenti, auspicabile per le tasche dei proprietari.

Per quanto sia una tendenza generale, ho impressione che su Twitter questo processo degeneri sempre più in una forma aberrante di comunicazione.

In 140 caratteri si comprime un’idea che diventa uno slogan, un motto, una freddura, una sentenza che deve colpire, emozionare, creare consenso. Dare luogo, ovvero, ad un retweet: una ripetizione acritica del messaggio che accresce – in uno spazio enorme ma in un tempo limitato – il consenso.

Nel processo di condivisione e diffusione, parafrasando barbaramente Pasolini a proposito degli slogan, l’espressività del Tweet è mostruosa perché diviene immediatamente stereotipa, e si fissa in una rigidità che è proprio il contrario dell’espressività , che è eternamente cangiante, si offre a un’interpretazione infinita.

La stessa vita del Tweet e la struttura del proprio feed invitano l’utente alla velocità, alla frenesia, alla produzione ed al consumo repentino del contenuto ed alla sua valutazione in termini di consenso.

Il consenso, a sua volta, crea una sorta di élite che più di altri può decidere cosa va di moda, cosa funziona, cosa merita visibilità e cosa, invece, deve rimanere oblio. Cosa ne viene fuori se non un mondo omologato ed omologante, piatto e sterile?

Un mondo che con la falsa promessa di una rivoluzione culturale si rivolge a chiunque sappia inviare un SMS, inserendolo in un vortice sterile di inespressività.

Non mi venite poi a parlare dell’opportunità meravigliosa che Twitter ci offre nel permettere la rapidissima diffusione di contenuti come le immagini di incidente, l’inizio di una guerra, eventi sensazionali.

Per prima cosa non capisco perché la velocità della diffusione di un contenuto del genere debba essere necessariamente un valore, ed in secondo luogo in questi anni ci siamo resi conto che in realtà il contenuto che viaggia in questo modo è molto spesso inesatto, falso o semplicemente decontestualizzato.

Ciò che è sicuro è che dovremmo renderci conto che la semplicità (banalità), la sintesi e la velocità in questo particolare momento e in questo contesto sono più minacce che opportunità.

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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