Confessioni di un magnate del petrolio: “Voi straccioni ci servite”

20 Luglio 2012
Germano Milite
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Alla fine chi combatte per opprimere dovrà sempre soccombere di fronte a chi combatte per liberarsi”. Lui come al solito non si scompone, mi regala l’ennesimo ghignetto borioso e risponde: “Oh certo, è garantito! Tranne se chi opprime non gli fa credere che lo stia liberando da qualcosa o da qualcuno” (Capitolo I – Voi siete come noi)

C’è chi tenta di annegare il dolore nell’alcol e chi, come me, prende un aereo e parte per l’altra parte del mondo. Ma se è vero che come diceva qualcuno il dolore sa nuotare benissimo, io posso dirvi che il bastardo vola altrettanto bene” (Capitolo II – L’Amore)

Il signor P.T. non vuole sentire ragioni: appena entro nel suo sontuoso studio e gli stringo la mano, mi chiede se può farmi anche lui qualche domanda durante l’intervista. Gli dico di sì e lui: “Bene, sappi che potrebbe venirti voglia di prendermi a pugni diverse volte”. Sorrido nervoso e procedo. Sguardo sull’Ipad per il primo quesito ma lui non mi fa iniziare nemmeno che chiede: “Quanti anni hai, giovanotto?”.

Quasi 28

Qual è la cifra massima di denaro che hai avuto a disposizione fino ad oggi?

Ci penso abbastanza poco e rispondo: “Uhm…direi quasi 6000 euro

Cavoli. Per la tua età e la tua categoria non è poco. Sai quanto avevo io in banca alla tua età?

Quanto?

5.800.000 dollari su un conto in Svizzera e altri 500.000 su quello personale, in Texas

Sgrano gli occhi, poi mi ricordo con chi sto parlando e cerco di partire con la mia intervista. Però niente, mi anticipa di nuovo: “Sai perché ti ho fatto questa domanda?

Mi dica…

Perché dipende tutto da quello. Cioè da quale idea hai dei soldi e del possedere le cose. Il resto sono chiacchiere vuote per passare il tempo”.

Cioè?

Vedi: non ho mai dovuto chiedermi dove reperire denaro. Mio padre era già multimilionario e potente, poteva finanziare campagne elettorali e far approvare leggi che favorissero la nostra compagnia o una delle nostre due multinazionali. Dimmi, ragazzo: credi che chi è così infinitamente ricco, possa immaginare anche solo lontanamente la vita che fanno quelli come te? I bisogni che avete? Anche se ci arriva per spiccata capacità immaginifica ed empatia, tutto quello che possiede, lo aliena subito dopo dal tenore delle vostre esistenze

Rifletto:“Beh se non è nato ricco ma lo è diventato magari non gli risulta così difficile

Non illuderti: l’ex straccione si dimentica subito della sua miseria. Perché la miseria è orribile e triste e la stragrande maggioranza degli uomini con le cose orribili e tristi ci fa essenzialmente due cose: o ci si abitua, o le scorda prima possibile. Altrimenti sarebbe come innamorarsi perdutamente, essere ricambiati e poi torturarsi giornalmente con il ricordo di quando si era soli o innamorati delle persone sbagliate, soffrendo molto

Abbasso lo sguardo, osservo le mie domande e ad un tratto le trovo così patetiche, scontate; puerili. Quest’uomo, sulla sessantina, mi schiaccia con il suo cinismo e con la sua arroganza, ma al contempo mi affascina; mi incuriosisce. Trovo il modo di sbloccarmi e mi esce spontaneo un: “Lei è felice?”.

Lui, calmo: “Si…i soldi non fanno la felicità solo se sei un idiota. Io ho preso dal denaro più di quanto lui abbia preso da me e il segreto credo sia questo. Che poi ammettiamolo senza ridicola ipocrisia: l’altro trucco per rendere ancora più felice e privo di rogne chi ha tanti quattrini, è dire a chi non ha un centesimo che tanto i soldi non fanno la felicità. Questa frase l’avrà inventata qualche miliardario ingordo e con il senso dell’umorismo, immagino”.

Poi incalzo: “Il petrolio sta finendo sul serio?”. Lui sorride: “Cosa devo risponderti? Spero di sì. Le risorse troppo disponibili e poco rare rendono poco”. Metto I-Pad e domande preparate da parte, decido di improvvisare come del resto ho fatto fino a quel momento. “E lei è repubblicano o democratico?”. Quasi si risente: “Suvvia ragazzo. Mi sembri abbastanza intelligente da non fare domande così stupide. Io sono io, io sono quello che ho e quello che ho costruito. Di sicuro sono anti-comunista ed anti-socialista”. Lo provoco, sorridendo: “Vabè è comunque un cliché: un miliardario anticomunista”. Lui, seduto dietro la sua scrivania, sposta con l’indice una penna stilografica che pare d’oro massiccio e sogghigna: “Perché? Perché non credo a ciò che è contro natura? Siamo stati tutti schizzi di sperma prima di diventare feti, pupi, bimbi, ragazzi e poi uomini. Eppure, fin da quando ci hanno eiaculato, abbiamo vinto in una competizione estrema…il più veloce degli spermatozoi è arrivato primo ed ha causato l’inesorabile morte di tutti gli altri. Ecco: c’è chi riesce ad essere lo spermatozoo vincente tutta la vita e chi se ne dimentica una volta venuto al mondo. E poi preferisco essere onesto con me stesso, non come quei comunisti che dicono di odiare tutta la ricchezza che hanno accumulato grazie alla povertà altrui; grazie al capitalismo che li ingrassa”.

Lo interrompo e gli reggo il gioco: “Carina la storia degli spermatozoi. Quindi, riflettendoci, potremmo dire che, per quanto ci sentiamo sfigati, potremmo sempre pensare che almeno una volta nella vita siamo arrivati davanti a tutti; abbiamo vinto almeno la prima battaglia fondamentale”.

Lui mi guarda divertito: “Si si…esatto ed hai fatto bene a parlare di battaglia e non di guerra. Comunque è affascinante come voi nullatenenti riusciate sempre a trovare il positivo un po’ ovunque. Credo che sia una sorta di evoluzione genetica che ve lo permette, evitandovi di diventare pazzi o di suicidarvi in massa. In ogni caso, come ti stavo dicendo, nessuno degli spermatozoi ha aiutato il suo vicino, è partito dalla stessa linea e non è stato sostenuto dal sistema sociale poiché nato più lento e sfigato degli altri. Il migliore ha vinto ed è diventato te, me e tutti gli altri più o meno poveri stronzi che ci sono nel mondo…

A quel punto tento di assecondare anche la sua cinica spocchia: “Ah si, certo; altro cliché. La teoria della società giungla, del “solo il più forte sopravvive”, del “chi vince prende tutto” e via dicendo. Ma non siamo un pelino più complessi ed evoluti di uno spermatozoo?”.

Lo vedi, ragazzo? Parlando di cliché, noi petrolieri affamiamo la gente, voi giornalisti la interrompete mentre parla. Ognuno fa il suo lavoro al meglio che può e si rende odioso nella maniera che preferisce. Stavo finendo il discorso…stavo arrivando proprio al tuo prevedibile ragionamento sulla maggiore complessità dell’essere umano

Mi scusi allora, continui pure

Bene: per questa volta non ti spengo un sigaro sul glande (ride, sinceramente convinto di essere stato divertente). Dicevo: ovvio che per noi non sia così semplice ed elementare la competizione. Ma, dimmi: esiste cosa più patetica e contro-natura dell’uguaglianza forzata tra gli esseri viventi? Voglio dire: ogni volta che si tenta di creare uno standard qualitativo e culturale, si partoriscono mostri cresciuti a pane e frustrazione e miseria e ingiustizia e iniquità e vendetta e rancore. Proprio come succede nel nostro decadente sistema capitalistico, no? Solo che nel nostro sistema, almeno, qualche straccione come te esiste e resiste o addirittura riesce a realizzarsi. C’è (o almeno c’era fino a pochi anni fa) la cosiddetta “classe media” che forma uno scudo magnifico ed impenetrabile tra noi e tutti quelli che conducono una vita così miserevole da essere disposti a perderla. Io li chiamo zombie esistenziali e provo sincera pena per loro. Ma vedo che ultimamente la gente è più attenta ai cani abbandonati che ai bimbi africani che muoiono di fame. L’umanità preferisce gli animali a se stessa. Come fai, quindi, a parlare di uguaglianza? La maggioranza della gente, amico mio, se ne frega dell’uguaglianza. Ne parla solo quando si sente personalmente discriminata e/o non ha abbastanza soldi per comprarsi cose inutili o quell’isoletta minuscola di benessere minimo utile a fottersene di chi gli annega intorno”.

Quelle parole, dette con tanta consapevolezza e tanto distacco, con tanta protervia e tanta cognizione di causa, mi appesantiscono il cuore. Faccio uno sforzo e chiedo: “Quindi? Tutto deve rimanere com’è?”. Lui mi guarda negli occhi: “Ma sei pazzo? Questi imbecilli dell’FMI e della Banca Mondiale, questi avidi inetti che pare credano di non aver più bisogno di voi, faranno crollare tutto e ci porteranno alla rovina. Bisogna controllare le nascite in Africa, dire a quei poveri diavoli che se vogliono scopare tanto, devono farlo con i preservativi o almeno usando il santo salto della quaglia. Bisogna rimettere in sesto voi che siete la maggioranza che sta nel mezzo, il nostro tappo di sicurezza contro tutto ciò che c’è più in basso e non si può controllare con tanta facilità. Evitare di impoverirvi troppo. Non darvi la forza di scendere in piazza troppo incazzati, insomma”.

Non poco sorpreso gli chiedo: “Cioè lei non è un neoliberista?”.

Non offendermi, ragazzo. Potrei mollarti un ceffone, sai? I neoliberisti sono dei cialtroni che se potessi eliminerei con un nuovo olocausto. Io sono uno che ama la vita e che rispetta un minimo chi lo ha reso immensamente ricco. Voglio lasciare soldi e vita dignitosa anche ai miei figli, ai miei nipoti e a tutti i miei discendenti. Non voglio che il capitalismo finisca per lasciare spazio a chissà cosa”.

Ecco, cari lettori: qui si conclude la prima parte del primo capitolo del mio libro “Confessioni di un magnate del petrolio”, oramai quasi ultimato. Consideratelo un piccolo assaggio di questa lunga e variegata intervista tra il serio ed il totalmente romanzato che ho costruito negli ultimi due anni, parlando con questo signore e con la mia coscienza ed affrontando temi che spaziano dall’economia alla psicologia, dall’amore alla religione.

Se questo assaggio vi è piacito e vi ha incuriosito, lasciatemi un commento di feedback (anche critico naturalmente, purché ben argomentato). Vi risponderò con piacere. 

LEGGETE QUI LA SECONDA PARTE

L'AUTORE
Giornalista professionista. Partendo dalla televisione, ha poi lavorato come consulente in digital management per aziende italiane ed internazionali. E' il fondatore e direttore di YOUng. Ama l'innovazione, la psicologia e la geopolitica. Detesta i figli di papà che giocano a fare gli startupper e i confusi che dicono di occuparsi di "marketing".
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