Scozia: i quattro "guai" dell'indipendenza. Per fortuna hanno vinto i NO

19 Settembre 2014
Davide Di Lorenzo
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L’analisi di Davide Di Lorenzoscot_2109463bI primi dati ufficiali del Referendum indetto per iniziativa del primo ministro indipendentista scozzese di Salmond (Partito Nazionalista Scozzese) per l’uscita della Scozia dalla Gran Bretagna, parlano di una vittoria dei NO. Il 61% degli scozzesi (2.001.926), infatti, ha espresso la propria volontà per restare nel Regno Unito contro il 39% (1.617.989) e una residua seppur significativa percentuale di schede bianche ( 383.937). Dal mio personale punto di vista, un’eventuale vittoria degli indipendentisti avrebbe rappresentato più problemi che vantaggi, prima che per la comunità internazionale, per vari punti che ora discuterò, che per la stessa Scozia, sia dal punto di vista economico, monetario, che politico e, altro lato fondamentale, militare (ci sta una bella portaerei che pesa più del Lazio che creerebbe non pochi problemi alla NATO).

PROBLEMA 1: il petrolio. Ma poi siamo sicuri che è scozzese?

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La Scozia fa parte del Regno di Gran Bretagna dal 1707, dopo che le camere inglesi e scozzesi ratificarono un accordo bilaterale di unione firmato l’anno precedente. Sin da allora, la Scozia è stata pervasa da focolai indipendentisti, che partirono proprio nel 1707 da Edimburgo e Glasgow; certo, mica l’IRA, ma comunque non una cosa da poco. Il 18 Settembre, su proposta di Salmond, la Scozia, per la prima volta nella storia, si è trovata di fronte ad un referendum sul suo status internazionale. I sostenitori del SI supportavano la tesi secondo la quale la Scozia indipendente avrebbe potuto essere economicamente molto più fiorente, sopratutto per lo sfruttamento dei 24 miliardi di barili di petrolio nel Mare del Nord e del relativo gettito fiscale. Già questa tesi, presenta alcuni punti deboli. Infatti, come riferisce LIMES, gli scozzesi sarebbero costretti a tracciare nuovi confini marittimi con la Gran Bretagna. Il calcolo secondo il quale, dopo la divisione, alla Scozia spetterebbe il 96% del greggio e il 56% dei giacimenti di gas, è basato sul presupposto che la divisione avvenga secondo il criterio della “linea mediana”. La linea mediana è la linea che , in caso di due Stati con coste opposte o adiacenti, divide i due mari territoriali basandosi sull’equidistanza (articolo 15 UNCLOS 1982). In casi speciali, però, come proprio quelli relativi alla presenza di risorse energetiche sottomarine contese, nonostante nessuno degli Stati possa spingesi al di là della linea mediana, si è soliti applicare dei correttivi per garantire una ripartizione più equa dei diritti di sfruttamento. In questo caso, risulta plausibile immaginare, dato il peso internazionale e la forza contrattuale dell’Inghilterra (gli Inglesi so’ sempre gli inglesi), che sarebbero stati applicati tali correttivi, con effetti nefasti per le aspettative scozzesi.

PROBLEMA 2: la moneta. La soluzione meno problematica un altro po’ era il ritorno al baratto.

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Bene: la questione energetica, come visto, è il primo “guaio”. Passiamo ora a quella monetaria…e qui nemmeno vi potete immaginare. Tre le eventualità per la Scozia:
1- Usare la sterlina inglese. Lasciare, però, la gestione della politica monetaria alla Bank of England significherebbe rinunciare, de facto, alla sovranità monetaria (che poi è quello che abbiamo fatto no) ma, data la rivalità politica che sarebbe sorta con l’Inghilterra, essere anche sottoposti con tutta probabilità a continue rappresaglie monetarie. Quindi: police verso.

2- Adottare una nuova valuta. Questa sarebbe una di quelle soluzioni auspicate pure per la Grecia dai “complottari anti-euro” con l’argomentazione “sì, è vero, si svaluta. Ma aumentano le esportazioni per una maggiore competitività all’estero. YU UUUU ho imparato il primo capitolo dello Jossa (che sfortunatamente non vale se esporti Feta e Ouzo)”. Il punto che in molto ignorano, solo perché vogliono, è che l’eccessiva svalutazione che seguirebbe all’istituzione della nuova valuta, salvo che la conversione avvenga senza preavviso (impossibile) e che sia indetto un blocco di tutti i capitali per un periodo successivo, porterebbe ad una fuga di capitali massiva e fatale.

3- Entrare nell’Euro…eh, qui inizia il bello e per parlare sono costretto ad entrare nel terzo “guaio” dell’indipendenza: quello del’adesione ai trattati internazionali e alle Organizzazioni Internazionali.

PROBLEMA 3: se diventi indipendente ti tocca sottoscrivere di nuovo gli impegni, con la volontà delle controparti…mica facile.

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Prima di parlare dei singoli casi va però spiegato un attimo cosa succede ad uno stato dopo una secessione. Secondo il Diritto Internazionale Generale (quello non scritto che vale per tutti perché riconosciuto da tutti, salvo piccole precisazioni che a voi non interessano), uno Stato che secede ottiene nuova indipendenza e, dunque, tutti i suoi trattati, ad esclusione di quelli di confine, vanno ridiscussi e considerati estinti ex nunc (a partire da quel momento). In breve pensiamo all’ONU. Secondo l’articolo 5 la Scozia sarebbe un candidato papabile, se ottenesse però il voto positivo di 2/3 dell’assemblea generale (ex art. 18) e del Consiglio di Sicurezza (ex art.27) dove sarebbe impossibile fuggire al veto di Gran Bretagna e probabilmente USA e Cina (infastidita dalle questioni indipendentiste date le sue lotte intestine in Tibet e Xinjiang). Per la NATO il problema è enorme e riguarda, principalmente, la parte della flotta inglese che, diventando scozzese, uscirebbe, almeno momentaneamente dal cordone di Sicurezza del Patto. Concludiamo proprio con l’Unione Europea ( e di conseguenza l’eventuale ingresso nell’eurozona). La Scozia, dunque, per essere ammessa come nuovo stato, avrebbe dovuto rispettare i criteri dell’art.6 TUE (politici, democratici ed economici) e avrebbe dovuto superare il lento e difficile iter previsto dall’articolo 49, che sancisce:

Ogni Stato europeo che rispetti i principi sanciti nell’articolo 6, paragrafo 1, può domandare di diventare membro dell’Unione. Esso trasmette la sua domanda al Consiglio, che si pronuncia all’unanimità, previa consultazione della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza assoluta dei membri che lo compongono.

Le condizioni per l’ammissione e gli adattamenti dei trattati su cui è fondata l’Unione, da essa determinati, formano l’oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato richiedente. Tale accordo è sottoposto a ratifica da tutti gli Stati contraenti conformemente alle loro rispettive norme costituzionali.

Tutti gli Stati parte del Consiglio, quindi, dovrebbero votare a favore dell’ammissione scozzese. 2+2 in matematica fa 4, così come Gran Bretagna + Consiglio fa un bel “ahahah” ( e Churcill dall’Ade che festeggia come nella foto) per quella che sarebbe stata la proposta scozzese. Se, invece, in un’ipotesi più realistica la Gran Bretagna ( che in effetti ha permesso il referendum) votasse per l’ingresso della Scozia, non vi sono dubbi che userebbe la rinuncia a tale veto potenziale per aumentare la sua forza contrattuale su altre questioni. Inoltre, non sarebbe stata solo la Gran Bretagna mutilata ad opporsi ma, senza dubbio, la Spagna; e qui entriamo nel quarto problema.

PROBLEMA 4: la Spagna, la Cina e la Turchia non sarebbero state certo felici.

Come anticipato per la Cina, anche in Spagna si adotterebbe ogni sorta di ostracismo politico ed internazionale, data la situazione sempre più calda in Catalogna. Proprio in questi giorni si sono riaccese forti proteste nelle piazze, sopratutto Barcellona, riattivate dai venti indipendenti scozzesi (mamma mia quanto è brutta l’espressione “venti indipendentisti”, fa molto Leningrado). La Spagna, quindi, così come l Cina e la Turchia (dove Cipro Nord chiede a gran voce la secessione) creerebbe un muro probabilmente invalicabile per la Nuova Scozia (non quella che sta in America).

Per concludere (se sono riuscito davvero a farvi leggere 1200 parole di Diritto Internazionale e affini sono meglio di Oreste Gasperini) va detto che Cameron, il Primo Ministro Inglese, ha compiuto una eccellente mossa diplomatica alla vigilia del referendum. Promettendo un aumento dell’autonomia scozzese anche in caso di vittoria dei no, infatti, ha sì rinunciato ad alcuni vantaggi, ma ha permesso di far affluire nel piatto dei NO un’enorme fascia di incerti che probabilmente avrebbe potuto, in caso contrario, preferire il SI per questioni di emotività collettiva.

Detto ciò, va ricordata un’ultima cosa. Anche se fossero diventati indipendenti, Willy il Giardiniere ci garantisce che non sarebbe finita qui:

Photo Credit: the Thelegraph

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