Perché i progetti di sviluppo falliscono? (note dalla lezione di Antropologia dello Sviluppo)

22 Ottobre 2014
Redazione YOUng
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A G. colui che per primo di parlò di Hellenikon,

Le lezioni di Antropologia dello sviluppo sono molto illuminanti.

Partiamo dalla vita. Non il bacino, i fianchi o le vostre misure 90-60-90. La vostra vita, il soffio “vitale”.

Torniamo all’epoca in cui eravamo Grecia ( non la colonia greca che tutti chiamano Magna Graecia eravamo Greci , non coloni) : usavamo due parole distinte per identificare due aspetti diversi della vita.

Zoè: la vita biologica dell’organismo che nasce, cresce, si riproduce.

Bios: la vita artificiale e convenzionale dell’uomo, fatta di diritti, doveri, cittadinanza.

Spesso naturalizziamo il concetto di Bios , nel senso che per noi, è naturale avere una cittadinanza, un passaporto, un permesso di soggiorno o una carta di identità,una scansione del tempo e dello spazio in modo definito e geometrico.

La verità è che, non me ne voglia Des Cartes, non siamo esseri razionali. Abbiamo la necessità di appropriarci come meglio possiamo di uno spazio, di dividerlo, di avere vari luoghi del fare e molti luoghi del non fare.

Diamo la nostra bios per scontata quando i migranti non posseggono ma sono solo ed esclusivamente zoè. Il migrante in Italia non ha diritti, non ha documenti, non ha nome.

A questo proposito si parla di nuda vita.

 Nel diritto romano arcaico homo sacer era un uomo che chiunque poteva uccidere senza commettere omicidio e che non doveva però essere messo a morte nelle forme prescritte dal rito. È la vita uccidibile e insacrificabile dell’«uomo sacro» a fornire qui la chiave per una rilettura critica della nostra tradizione politica. 

I migranti sono paria, sono fantasmi, sono ospitati nell’attesa di essere rispediti a casa. Vivono una doppia assenza: sono qui ma vorrebbero essere a casa, sono a casa ma sono visti, comunque, come traditori, diversi, ineguali poiché hanno tradito il proprio Paese andandosene.

Le strutture di accoglienza mirano alla razionalizzazione dello spazio di Bentham: annullo la percezione dell’uomo, annullo la differenziazione degli spazi, annullo la dimensione umana del prigioniero e, infine, annullo la visione del carceriere. Il carceriere può vedere tutto e tutti in qualsiasi momento. Io prigioniero non posso vederlo né so quando sono osservato da lui.

I centri di accoglienza, i quartieri popolari, i quartieri ricostruiti sono strutturati in questa maniera. Razionalizzo, divido, squadro, dispongo ma, non progetto pensando a ciò che l’essere umano spicciolo è abituato a fare o ha bisogno di fare.

Io ingegnere o architetto ho tot. metri quadri da riempire con tot. appartamenti da posizionare come pedine di dama o degli scacchi. Non mi importa se il palazzo non ha un parco e che i futuri inquilini erano abituati a stare nella foresta pluviale; non mi importa se rompo rapporti umani o per lo meno li complico.

Io ingegnere sono il demiurgo, io devo creare ordine dal caos. Lo stesso accade con i centri d’accoglienza o con i progetti per lo sviluppo in generale. Io operatore della ONG devo risolvere un problema (che per me è un problema ma per gli indigeni no) razionalmente. O meglio, come io credo sia razionale. Non tengo conto delle posizioni di potere all’interno della tribù, dei rapporti economici o politici, non tengo conto della bios di quel popolo ma solo della sua zoè. Voglio semplicemente che raggiungano delle condizioni di vita biologica accettabili.

Non ci deve stupire poi, se tutti i progetti di sviluppo falliscono.

D.C.

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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