"A ciascuno il suo mestiere".Libera riflessione su una pericolosa ed imperante ambiguità di ruoli e funzioni istituzionali

31 Ottobre 2014
Redazione YOUng
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Incisione
Tutti forse ricordano come nel 1924 l'approvazione di una legge elettorale da parte del parlamento italiano favorì, in maniera determinante, il disegno dittatoriale mussoliniano. E' quello uno degli esempi storici di come la forma, che è sempre sostanza, può determinare una palese incostituzionalità , oltre che uno stato di ambiguità del senso, delle funzioni e dei ruoli.

Si è sentito insistere spesso in questi giorni sul concetto che per generare un cambiamento sia il governo a dover legiferare, ad emanare norme che possano produrre la tanto auspicata ripresa.

S’ignora forse che questo vizio di forma, perpetrato concettualmente e concretamente, contraddice i principi fondamentali dell’ordinamento statale e della separazione dei poteri. Una delle prime lezioni di quel tanto bistrattato insegnamento  di educazione civica, relegato ormai agli ultimi venti minuti dell’orario scolastico o peggio ancora assimilato al momento della ricreazione, spiega infatti in maniera ben differente il funzionamento dei “meccanismi statali”.

Dovrebbe essere il parlamento a legiferare, in qualità di organo consultivo ed interlocutorio per i rappresentanti delle parti sociali democraticamente eletti dalla comunità.

L’effetto di questo “trascendimento di funzioni” determina un effetto domino in tutto il sistema, tanto da generare quella confusione che porta a pensare (per esempio) che il potere giudiziario possa disfare leggi o possa avere peso e parte attiva nelle dinamiche politiche o che il parlamento sia solo un contenitore di votanti che devono pronunciarsi positivamente o negativamente su leggi proposte (o imposte) dal governo. Da questo sottaciuto “errore di fondo” forse discende anche quel fenomeno di “ibridizzazione” delle figure rappresentanti dei tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario). Così si vedono magistrati che mutano in politici, squadre di governo che partoriscono leggi o meglio  decreti: i figli sterili di questo nuovo modo di intendere il ruolo dei poteri dello Stato e che invece dovrebbero essere uno strumento usato solo in dati momenti di necessità attuativa veloce, non la prassi. Quello che più spaventa è il fatto che in questo modo si rischia di assistere alla “randomizzazione” di ogni competenza, rendendo la funzione di ogni potere autoreferenziale e quindi capace di mettersi in contrapposizione con quelle degli altri due.

In questo “guazzabuglio di ambiguità” come non ricordare la ben nota “indicazione” della Corte Costituzionale che ha sancito l’anticostituzionalità del Porcellum e (di conseguenza) dei governi scaturiti da questa legge elettorale? Di questo argomento sembra essersi persa ogni memoria. Viene da pensare però che da quel momento siamo già al terzo esecutivo che guida il paese, col tacito benestare di tutto il sistema, senza la legittimazione costituzionale, oltre che da quella popolare.

Un parlamento ed un governo che hanno cambiato tre volte i loro vertici non tenendo conto delle indicazioni provenienti dagli organi di controllo e supervisione.

Quale sarebbe la conseguenza?

Perpetrando questo ennesimo “vizio di forma” (oserei dire in maniera quasi omertosa, facendo finta di nulla), nella più paradossale ma terribilmente realistica delle ipotesi, un bel giorno potremmo sentirci dire: “abbiamo scherzato. Tutto quello che è stato deciso e sancito non vale!”. Una prospettiva apocalittica ed assurda che non solo ci proietterebbe concretamente indietro di anni, non anagraficamente (purtroppo) ma soltanto negli aspetti che riguardano le nostre relazioni con lo Stato: lavoro, accordi, concessioni, contratti, ecc. L’illegittimità di tutte le decisioni prese e regolamentate statalmente ci farebbe rendere conto in un attimo che il paese è stato fermo ben oltre le stime fatte e sbandierate dagli analisti critici sul ventennio di governo berlusconiano.

Oggi, quello che si potrebbe chiamare “golpe” sembra assumere sembianze e caratteristiche autorizzate statalmente. Esso si palesa nei momenti in cui potere legislativo, esecutivo e giudiziario travalicano ” perniciosamente” le loro funzioni.

Sarebbe forse il caso, per innescare il tanto agognato processo di uscita da questa crisi, che interessa ogni aspetto (non solo quello economico) del nostro momento storico, di provare a ripristinare con chiarezza e coerenza le funzioni di quegli organi posti dalle regole democratiche a salvaguardia, tutela e sviluppo (non crescita) della società e di chi la abita e la vive. Perché la crisi, prima di essere economica, rappresenta lo spaesamento o (parafrasando Ernesto de Martino) la perdita di un orizzonte attraverso il quale orientare la propria esistenza.

Se stessimo tessendo le trame di una narrazione che sia coerente, si direbbe che ognuno ha da recitare la sua parte in maniera tale da non sovvertire quelle regole “inventate” e collettivamente condivise per evitare che il sistema vada in crisi per assenza di coerenza.

A ciascuno il suo mestiere.

Così recita il titolo del libro di Sergio Cofferati e sarebbe il caso di tener presente questo “invito”, visto che la catena dei ruoli sociali ed istituzionali coinvolge e lega ogni ambito ed aspetto della “società civile”.

Sovvertire quest’ordine porterebbe ogni potere a declinare autonomamente le sue competenze (come già sembra stia accadendo).

Bisognerebbe almeno scongiurare questa ambiguità, controllabile ma forse volutamente mantenuta in essere per generare quella confusione che schiaccia la popolazione sotto il rullo compressore della frustrazione ed il disorientamento di chi non sa più in cosa credere.

Il vuoto prende il sopravvento ed il nuovo modo di legittimare il potere sembra proprio quello di circondare di vuotezza e vacuità, contrapporre generazionalmente e socialmente le componenti della collettività per determinare la confusione necessaria alla gestione ed il controllo del pensiero o di quella che si potrebbe definire “l’immaginazione sociale”.

Perché è più facile dominare chi non crede in niente.

Questo quello che fa affermare Wolfgang Petersen a Gmork nel film La storia infinita, ispirato al romanzo omonimo di Michael Ende.

Una storia infinita come quella che interessa l’esistenza umana, che ha bisogno di elementi sempre nuovi per narrare, immaginare e delineare i tratti di un futuro che scongiura quella che sembra l’atavica paura del nulla.

A. S.

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L'AUTORE
La redazione di YOUng
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