Escher: il "signore" dei limiti percettivi

21 Novembre 2014
Redazione YOUng
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Maurits Cornelis Escher
Propongo questo mio articolo comparso domenica 2 novembre 2014 su Ulisse Cronache (inserto settimanale di approfondimento culturale  della testata giornalistica Le cronache del salernitano).

E’ interessante, sostiene Marc Augè, osservare come l’artista, al pari di un antropologo possa snidare “il culturale e l’artificiale sotto la maschera della natura” (L’antropologo e il mondo globale, Raffaello Cortina, Milano, 2013, p.110).

E’ questa una delle possibili chiavi di lettura delle opere di Maurits Cornelis Escher.

A Roma, fino al 22 febbraio 2015, il Chiostro del Bramante ospita le opere dell’incisore e grafico olandese.

La mostra, prodotta e organizzata da Dart Chiostro del Bramante e Arthemisia Group, è curata dallo storico dell’arte Marco Bussagli, professore di Anatomia Artistica (Accademia delle Belle Arti di Roma).

Nei dieci ambienti espositivi il visitatore viene proiettato progressivamente nella poetica escheriana. L’esposizione sembra muoversi su tre linee concettuali. La prima si lega alla progressiva formazione artistica del litografo: dall’osservazione diretta della natura (legata soprattutto al suo soggiorno in Italia, durato quasi quindici anni) fino alle influenze dell’art nouveau che l’artista ha assorbito gradualmente, grazie anche agli insegnamenti di Jessurum de Mesquita e riconoscibili nelle sue opere.

La seconda linea concettuale è legata alla ricerca e la sperimentazione compiuta per padroneggiare al meglio le leggi della percezione visiva legata, secondo Escher, alla preponderante presenza della componente matematica e geometrica, con le sue forme, in ciò che vediamo.

Così ogni litografia rappresenta un incontro riuscito tra realtà fenomenica e coerenza matematica, tra percezione e regola che la determina. L’artista riesce a sfondare la superficie piatta con-fondendo le prospettive applicando e sperimentando le leggi della continuità, della prossimità, del concavo e del convesso, fino ad arrivare alla legge dei frattali, a quella ripetizione seriale (canonica) e continua per cercare in uno spazio finito tutti gli infiniti punti in esso compresi.

L’ultimo itinerario concettuale della mostra si concentra sull’eco prodotto dall’opera di Escher nella società del secondo dopoguerra, su quel fenomeno che ha visto i suoi soggetti diventare simboli riproposti e rielaborati da quella che si definisce “cultura pop”: dai fumetti alle copertine degli album di gruppi musicali come i Beatles.

La poetica dell’artista olandese è intrisa di una sorta di relativismo che, parafrasando Francesco Faeta, mette in risalto l’orientamento culturale e non naturale della nostra percezione (Le ragioni dello sguardo. Pratiche dell’osservazione, della rappresentazione e della memoria, Bollati Boringhieri, 2011). Con le sue opere egli mostra come il nostro sguardo, la nostra maniera di vedere il mondo sia regolata da meccanismi psichici e culturali che ci permettono di riconoscere figure a noi familiari in quel labirinto di forme che è la realtà percepita.

Sembra di scorgere nelle opere della maturità di Escher un profondo senso antropologico legato a questa “relatività percettiva”, a questa idea del mondo come un coacervo di visioni parallele che cambiano a seconda della prospettiva.

Escher, Relativity, 1953

“Relativity”, litografia del 1953, rappresenta proprio un mondo unico ma composto da numerosi mondi che si intersecano, che vivono coesistendo e completandosi vicendevolmente, mondi che assumono una coerenza se visti secondo la prospettiva delle persone che lo abitano. Un invito anche all’integrazione quello dell’artista, attualissimo in questo momento storico in cui le tendenze ad universalizzare la propria prospettiva culturale impediscono spesso di fare i conti con l’alterità e di confrontarci con chi reputiamo altro da noi, portatore di un’altra cultura e quindi di un punto di vista differente.

Un artista, Escher, con le attitudini di quell’essere mitologico chiamato “trickster”, un “demiurgo trasgressivo” direbbe Silvana Miceli (Il demiurgo trasgressivo. Studio sul trickster, Sellerio, Palermo, 2000) che gioca sugli eccessi (in questo caso percettivi) e ne esplora simbolicamente i limiti, mostrando la natura costruita e culturalmente collaudata dello sguardo, mettendone in discussione la sua datità. D’altro canto è proprio Escher che si/ci domanda: “siete davvero sicuri che un pavimento non possa essere anche un soffitto?”

A. S.

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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