Je suis un Homme – violenza nella lotta per una concretezza relativa

10 Gennaio 2015
Redazione YOUng
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Je souis un homme

Sicuramente transigo al mio modo di fare abbandonandomi, “quasi d’istinto”, ad una riflessione sulle delicate e complesse vicende relative ai fatti violenti verificatisi in Francia nelle ultime ore.  Cedo alla tentazione di fare delle frammentarie considerazioni, sperando di non scadere nel banale, spinto dal rammarico di quanto devastante possa diventare l’azione dell’uomo, anche contro se stesso, nel momento in cui la cultura viene considerata legge quasi di natura e non un semplice strumento di cui ci si dota per semplificare la visione della realtà senza la pretesa di universalizzarla.

Alcuni anni fa, intervistando lo scrittore/attivista americano Paul Polansky, impegnato per anni nella lotta per la rivendicazione dei diritti dei rom kosovari, chiesi cosa fosse per lui la violenza.
Lui “candidamente” mi rispose che l’uomo è violenza.

Violence is inside us

È quella imprescindibile parte di noi che ci spinge alla prevaricazione, alla competizione per il fine unico di soggiogare un proprio simile e garantirsi la supremazia di un modo di essere su un altro.
Ero molto giovane, ingenuo oserei dire, tanto da confondere quelle parole come la divagazione retorica di un poeta che voleva sbalordirmi con la sua grande capacità di parlare di un concetto per me (giovane studente un po’ ipocrita con se stesso) astratto come la violenza.

 La violenza come quintessenza dell’umanità?

Le frasi del poeta solo anni dopo hanno cominciato ad avere un peso ed una concretezza differenti per me e si caricano di senso ulteriore anche oggi.
In questi ultimi giorni e nelle ultime ore, tante le parole, tante le immagini, tanti i concetti che hanno intasato i canali di comunicazione.
Le varie notizie ci mostrano e ci trasmettono il senso di un’Europa sotto attacco, un senso di paura e di insicurezza che imperversa in tutto il “mondo occiedentale” ed attanaglia i cittadini inermi, costretti emotivamente sotto la morsa della parola terrorismo.
L’attacco di matrice islamica alla sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo e la successiva escalation che ha interessato la Francia, ha allertato e mobilitato tutto quell’emisfero che si considera concreto e non più aggrappato (in questo caso) alle “illusioni” delle “derive religiose”.
Con le parole dello slogan

Je suis Charlie

in tanti si sono schierati per manifestare simbolicamente la propria solidarietà con le vittime di quel nero 7 gennaio 2015 e ribadire l’inviolabilità della libertà di stampa.
Chiusi, coesi e ripiegati su noi stessi, a fare fronte comune contro ciò che è umano come noi ma che non si comporta come noi, anzi, si mostra ostile.
Con queste parole non è mia intenzione sfociare nel relativismo e capovolgere le prospettive rivalutando anche minimamente in maniera positiva ciò che è accaduto.
Sono tante le domande però.
Siamo realmente convinti che in questo mondo siano solo quelle occidentali le cose giuste e concrete?

Siamo realmente convinti, mossi dall’orrore di ciò che è accaduto, di essere legittimati a relegare quasi a sub umanità gli “esponenti di una cultura” che hanno realizzato queste azioni di abominio nei confronti dell’umanità stessa?
Probabilmente non c’è risposta a queste domande e forse non sono neanche questi i giusti interrogativi, rimangono soltanto delle evidenze.

È evidente sia giusto esser solidali nell’esprimere partecipazione e vicinanza nei confronti delle vittime di un bieco ed efferato atto di violenza nei confronti di individui e nei confronti di ciò che questi rappresentavano. Solidarietà verso uomini prima che “occidentali come noi”.
È evidente come fatti cruenti siano capaci di distogliere del tutto l’attenzione da tutto quello che (fino a tre giorni fa) non funzionava a casa nostra (in Europa) a causa di quel “modo occidentale”, tutt’altro che equo, di interpretare la realtà politicamente, economicamente e via dicendo.

È evidente che ciò che è accaduto, sta accadendo e accadrà assomiglia più alla reificazione in negativo delle illusorie concretezze con cui l’uomo affolla la sua realtà, al frutto di quel mai cessato scontro di “prodotti culturali” portati all’estremo dalla deriva xenofoba delle speculazioni economiche, religiose o di altro tipo per il controllo e la gestione dei popoli.

L’illusoria concretezza di un paradiso per i martiri, l’illusoria concretezza della libertà occidentale, l’illusoria concretezza che quello che è fatto nei nostri confini è ben fatto perché genera un illusorio sapore di benessere. Sono questi alcuni degli incanti che rendono gli uomini capaci di azioni meravigliose o di efferate malignità.
Incanti culturali che permettono a tutti di sentirsi concretamente uomini, padroni di se stessi ma forse, parafrasando le parole della cantante Zazie, soltanto padroni delle illusioni che sappiamo costruirci intorno per declinare la realtà nel modo che più ci aggrada.

Je ne suis pas Charlie mais Je suis un homme!

Sono il prodotto di quello che cultura, esperienza ed interazioni sociali (oggi da considerarsi globali) mi propongono di essere, abile alla violenza o alla mitezza, in grado di scegliere, più o meno autonomamente, quello che penso, come indirizzare pensieri ed azioni; bravo a misurare paradossalmente tutti i gradienti delle mie atrocità, fino a rinnegare ipocritamente anche il mio stesso modo di essere naturalizzato.
Forse il presupposto di appartenenza all’umanità (unico presupposto realmente condivisibile) è il reale punto di partenza per consapevolizzarsi su quanto sia inutile contrapporre culture o civiltà?
Non lo so. Sono il primo a pensare che questi miei pensieri siano alquanto utopici, poco organici ed illusori.
Ma, del resto, “Je suis un homme”.

A.S.

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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