Scuola Diaz, è tortura: non è l'Isis, è la nostra polizia

7 Aprile 2015
Redazione YOUng
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E’ stata tortura.
Non è un nuovo video dell’Isis, tanto siamo abituati a guardare gli affari esteri da non guardare mai ciò che ci succede in casa. Parliamo dei fatti avvenuti la sera del 21 luglio del 2001 nelle scuole Diaz, Pertini e Pascoli di Genova. La Corte dei Diritti Umani di Strasburgo ha decretato che l’irruzione dei reparti mobili della Polizia con il risultato di una sessantina di feriti, dei quali uno in coma, è stata a tutti gli effetti “tortura”.

Che parola, tortura. Ci fa pensare subito a quegli arabi che torturano i cristiani, vero? Oppure ai militari americani che seviziano i prigionieri afghani. Ci fa pensare a qualcosa di medievale, di lontano, di malvagio. Ci fa pensare a degli squadroni della morte.

Ma questa volta la tortura non è stata lontana ed è capitata solo quattordici anni fa. Alla radio c’era Britney Spears e voi eravate al bar con gli amici. Nel frattempo, a Genova, quelle scuole erano divenute centro di coordinamento del Genoa Social Forum dopo il G8.

I manifestanti, però, non stanno lanciando fumogeni o arrivando con estintori alla mano, non si sa neppure se fossero una frangia estremista oppure pacifica; stanno dormendo. Il reparto mobile di Roma, seguito da Genova e Milano, fa irruzione nella Diaz; il giornalista inglese Mark Covell viene preso a calci e finisce in coma; 93 arrestati, dei quali 63 feriti più o meno gravemente.
Per giustificare l’aggressione, i poliziotti fanno trovare nella scuola due molotov artigianali e degli attrezzi presi nel cantiere vicino; uno di loro finge un aggressione tagliandosi il giubbotto antiproiettile.

Il primo ottobre del 2008, sette anni dopo, l’avvocato dello Stato, quindi il Viminale, dice “Nego che vi sia stata una spedizione punitiva. Non è stata una spedizione latu sensu terroristica. La democrazia in quelle ore non è mai stata in pericolo”. L’Italia nega.
Non essendo stato possibile identificare gli agenti responsabili del coma del giornalista, è stata chiesta l’archiviazione del caso.
Nel 2008 vengono condannate quattro persone su 29 ad un massimo di quattro anni ma la Corte d’Appello di Genova, nel 2010, riformula la pena per tutti i vertici, per un totale di 25 condanne.

In Cassazione vengono confermate le condanne ma si fa una scoperta: in Italia non esiste il reato di tortura, come stabilito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

La Repubblica Italiana ha violato l’articolo 3, che recita “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.” Andando oltre, la responsabilità è maggiore, dato che la legge italiana non prevede una punizione per chi compie tortura.

La Corte di Strasburgo è stata perciò chiara non solo sul risarcimento di 45mila euro che lo Stato deve dare a Cestaro, colpito a manganellate perchè dormiva nel posto sbagliato; è stata chiara soprattutto sulle conseguenze che la mancanza di una simile legge porta. Non avere una legge che punisce chi compie tortura o trattamenti degradanti, semplicemente non garantisce che la situazione non possa ripetersi in futuro; implica che se un poliziotto picchia a sangue un manifestante che dorme, può essere punito con quattro anni di carcere per lesioni.

Le riflessioni sa fare sulla vicenda della Diaz sono molte e implicherebbero tutte un giro di vite alla nostra mentalità italiana, a gudicare dal tenore delle reazioni:

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Non so se indignarsi per quei “porci arabi” che uccidono i cristiani in Kenya sia giusto, quando si è pronti a difendere uno Stato che manda in coma un giornalista straniero per aver dormito evidentemente con le persone sbagliate. Uno Stato che ha aggredito delle persone che dormivano senza sapere chi fossero e ha picchiato indistintamente.

Ogni persona ha i propri demoni da combattere, il proprio nemico personale al quale spezzerebbe volentieri le gambe a prescindere; chi il vicino di casa, chi i comunisti, chi gli anarchici, chi gli immigrati.
Difficilmente troveremo post su Facebook in solidarietà a Mark Covell, del resto “se l’è cercata, ‘sti giornalisti”; non è un eroe della patria.
Ma quella sottile differenza tra la civiltà e l’inciviltà sta proprio nell’avere il buonsenso di non farlo.

E il fatto più grave, che lascia tutti senza parole, è proprio quella legge mancante; quelle parole che decretano la legittimità o meno di alcuni comportamenti. Laddove non arriva la morale personale deve arrivare lo Stato: e un Paese che non possiede una legge contro la tortura o è un luogo in cui si vive nella Pace, o è un Paese criminale e incosciente. Trovo alquanto difficile la prima ipotesi.

 

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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