Quando la maestra "ferisce" tuo figlio

16 Settembre 2015
Redazione YOUng
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Lo scrittore è medico d’anime, scrive Muriel Barbery ne L’eleganza del riccio.

 

Quando si deve ingannare il tempo, l’uomo è solito chiacchierare del più e del meno. A meno che non abbia per le mani uno smartphone.

In fila al supermercato, in una sala d’attesa, durante il ritiro delle pagelle scolastiche del proprio figlio, su di un treno, alle volte si fanno incontri straordinari, che ti rendono più umanità di quella che ti ritrovi a vivere con le persone che incontri tutti i giorni al lavoro o nel tempo libero.

E’ di uno di questi incontri che voglio narrare.

Delle madri, in presenza dei rispettivi figli, stanno parlando del più e del meno. Della scuola, delle regole di abbigliamento che la nuova preside ha stabilito per “coprire” di più le femminucce, dell’importanza della divisa che “ai loro tempi” rendeva i bambini tutti uguali e non faceva scatenare gelosie ed invidie tra compagni di classe educati da genitori stolti. Si discorreva di adulti e di bambini. In genere, quando si tratta di bambini difficilmente non si riesce a farci stare dentro tutto della Vita.

Iniziamo dall’amore.

«Quanti anni hai?» – socializza con me uno di questi fanciulli.

«Sono del 1987. Indovina un po’…»

«E sei sposata?»

«No.»

«Mamma mi ha fatto che aveva trentasette anni. Io invece voglio sposarmi a diciotto anni e voglio fare subito un figlio. Il giorno stesso che mi sposo. Solo che poi devo aspettare per forza nove mesi. Uffa! »

«Ah, mi sembra una bella idea. Ma, conosci già qualcuna che un pochino ti piace?»

«No.»

(ridiamo)

«Adesso quanti anni hai?»

«Undici.»

«Quindi hai sette anni prima di incontrare la donna della tua vita.»

Interviene la madre. Una donna solare, partenopea, sorridente:

«Dillo alla signorina come chiederai a tua moglie di sposarti.»

«Sì. Allora, io la incontro, lei mi piace. Ed io glielo chiedo.»

«Cosa?»

«Di sposarmi ! »

«E secondo te lei ti dirà di sì ?»

«Sì. Perché io la fermerò e le dirò “Amore…vuoi sposarmi?”»

«Effettivamente, farebbe un certo effetto persino su di me tanto romanticismo.

Però, senti, ma non ti converrebbe prima cercare di conoscerla un pochino?

Capire se lei ti ama quanto tu ami lei, capire se andate d’accordo con i rispettivi

caratteri…»

«Eh! Allora a cinquant’anni mi sposo!»

Ridiamo tutti la nostra esterrefazione. Il ragazzino ha ragione. Quanta saggezza sprigionata in un solo istante, in maniera innocente, mentre nelle menti di tutti i presenti sfrecciavano treni di amori finiti sui binari dei ricordi e ci ritrovavamo soli alla stazione delle nostre personali amarezze (passate o presenti).

Conoscere bene qualcuno… è possibile?

Il ragazzino riprende a parlare

«In tal caso, un figlio lo farei da vecchio. A…settant’anni» – si rivolge alla madre

«Ed io te lo porterò con un aereoplano in cielo, così potrai vederlo. Salirò su, su , su…»

Come avevo anticipato, difficile occultare i grandi temi della vita quando siamo al cospetto di un fanciullo.

«Non c’è bisogno. Quando sarò su Mamma sarà Verità e saprà tutto.» – risponde serenamente lei.

Mi sconvolge la serenità con cui madre e figlio si scambiano queste parole.

«Sì, ma Dio è onnisciente, mica tu!»

«E invece anche io lo sarò, perché sarà un regalo che mi farà Lui.»

«E saprai tutto tutto tutto di tutto?»

«Sì.»

«E allora facciamo una cosa. Tu muori e sai tutto. Poi torni e me lo vieni a raccontare.»

Lei sorride

«Ma no! Da quel posto nessuno può tornare»

«E allora ci vengo io.»

«Sì, ma tardi.»

«E’ vero, altrimenti muoio anche io. E pure mio figlio.»

E cos’è mai questa conversazione se non spettacolo puro? Vien voglia di scriverla – come sto facendo adesso – di raccontarla, di condividere qualcosa di così multiformemente bello.

Ed è che inizia il Ritorno. La Restituzione del favore.

Commentiamo:

«Certo che suo figlio ne ha di fantasia ! »

«Vero, dovrebbe fare lo scrittore!»

A queste parole, la madre non sorride. Si rabbuia.

«A scuola mi dicono che lui non è creativo. Che gli mancano le capacità di inventare.»

 

E’ vero.

Non sono una maestra.

Non sono una psicologa.

Né una madre.

Però sono una snocciola-storie. Una componi-storie. Un artigiano della parola.

E, quando ho potuto, ho lavorato con i bambini – anzi, loro hanno lavorato con

me – e ho capito che sarebbe un mestiere bellissimo – se solo esistesse (e fosse retribuito) – quello di inventare con loro.

«Signora, sinceramente, non sono d’accordo. Suo figlio ha una fervida immaginazione, come tutti i bambini, e non credo affatto sia giusto dirgli queste cose.»

«Ma…dicono che non sa inventare storie…che non sa fare i temi . E’ che a lui

piacciono i film.»

«Quelle che ha raccontato fino a poco fa non erano forse storie? Forse le sue maestre si sono limitate alla scrittura dei temi, però siamo tutti diversi ed esistono più tipi di intelligenze. Quello che stanno facendo passare per un limite, magari puo’ essere il punto forte di suo figlio, solo che per farlo emergere il ragazzino andrebbe  valorizzato e messo a proprio agio.»

maestra

Alla coreografa di Cats fu diagnosticato un Disturbo dell’Attenzione perché a scuola si annoiava ed era difficile “tenerla buona” durante le lezioni. Sua madre la portò da un neuropsichiatra che, dopo una attenta analisi degli stimoli cui la bambina rispondeva con interesse, diede da seguente diagnosi:

«Signora, sua figlia è una ballerina. La tolga dalla scuola tradizionale e la iscriva ad una accademia di danza.»

La madre seguì il consiglio del medico.

Indovinate chi è una delle più prestigiose coreografe a livello mondiale?

 

Non sono una maestra, né una psicologa, però durante il mio wokshop di Scrittura Creativa una bambina reticente al public speaking ha retto una “platea” di venti bambini e altrettanti genitori con naturalezza, divertendosi.

I bambini vanno messi a proprio agio. Devono sentirsi sicuri, accettati, tutti uguali indipendentemente dalle loro diversità. E soprattutto devono sapere che tu, adulto, sei un amico che è lì con loro e per loro, e non uno che li giudica come se dovessero essere forzatamente “perfetti”. La perfezione non esiste. I voti a scuola non dicono “chi sei” e, soprattutto, non può dirlo un sistema scolastico che si basa sui dettami del secolo scorso e non guarda alle potenzialità del bambino che di sapere che Colombo ha scoperto l’America nel 1492 non se ne fa nulla rispetto ad imparare a giocare coi compagni, dipingere, scolpire, parlare delle cose che gli piacciono e condividerle con gli adulti cui è affidato il suo sviluppo.

Non sto dicendo che l’istruzione non sia rilevante, quanto piuttosto che sia necessario renderla complementare ad un approccio multidisciplinare, in modo tale da non dover più conoscere storie di bambini “bollati” da giudizi affrettati e castranti.

Il delitto di dire che un bambino non sia creativo è che , a lungo andare, se questa diventa la cantilena preferita della sua maestra, lui finisce per crederci davvero.

Giudicare in età così precoce è un segnare.

E allora, cari maestri, perché trattare come un “male incurabile” quella che secondo voi è una falla, ma che invece è alla base della nostra evoluzione e di quella del pianeta: la diversità?

Un gioco di fantasia:

Se al ragazzino di questa storia piacciono i film, perché non suggerire a sua madre di – sì, studiare la Storia antiqui mores – ma di integrare queste nozioni con un bel documentario o un rifacimento cinematografico della vicenda trattata?

Siamo in un secolo così ricco di informazioni e dati. Tutto lo scibile umano può essere racchiuso in un solo dispositivo mobile. Sfruttiamo questa ricchezza per far sentire tutti degni di questo grande e diverso nido che è la vita. Iniziamo ad abbattere i conformismi che ci fanno sentire migliori/peggiori degli altri ed insegniamo ad i nostri bambini che loro possono essere chi sono davvero e non chi vorremmo loro fossero per sentirci noi quelli “giusti”.

Bisogna saper perdere, abbandonare questo infantilismo egoistico tramandato di generazione in generazione, per imparare a giocare.

Chi non sa “perdere” non piace agli adulti, figuriamoci ai bambini.

 

Questo è un apologo, non un articolo giornalistico e non vuole pretendere d’esserlo. Ringrazio la madre di quel bambino e quel bambino meraviglioso. Li ringrazio per avermi dato la loro storia e per avermi spinto a raccontarla quando, con mia enorme sorpresa, ho scorto un’epifania del dolore negli occhi, nella voce e nella mano che quella donna mi ha premuto ben due volte sulla spalla salutandomi con un

“Grazie.”

 

Ps. Il seguente non vuole essere un attacco alla categoria degli insegnanti, né a quella dei genitori, ma una sollecitazione rivolta al mondo degli adulti.

 

 

 

L'AUTORE
La redazione di YOUng
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